L'APPELLO

Raccolta fondi per curare il tumore di Patrick negli Usa: "Aiutateci, non si può abbandonare un sogno di vita a 40 anni"

Bologna, l'appello della fidanzata Luciana a Tgcom24: "Il tempo stringe, non possiamo più aspettare"

di Giorgia Argiolas
14 Feb 2019 - 09:34
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Patrick Majda ha 40 anni e vive a Bologna. Nella vita fa l’operaio meccanico, è appassionato di sport e da due anni a questa parte ha trovato l’amore, Luciana Grieco. Purtroppo, però, nel 2018 la sua vita è cambiata, da quando cioè gli è stato diagnosticato un tumore maligno: adenocarcinoma mucinoso al colon con Kras mutato e metastasi al fegato. Dopo un intervento all'Ospedale Maggiore di Bologna e undici cicli di chemioterapia, il tumore è ancora lì. Per via di alcune complicazioni seguite all'operazione, Patrick assume farmaci anticoagulanti che gli impediscono l'accesso ad altre cure chemioterapiche. Al momento in Italia non ci sono altri protocolli standard o sperimentali che possano salvargli la vita. L'unica speranza per Patrick è il Penn Medicine's Abramson Cancer Center Clinical di Philadelphia, ma le cure costano tanto. Per questo la fidanzata ha lanciato una raccolta fondi (clicca qui). L'obiettivo è raggiungere la cifra necessaria: 500mila euro.  "Aiutateci, stavamo provando ad avere un bimbo. Non si può abbandonare un sogno di vita a 40 anni", ha dichiarato Luciana a Tgcom24.

Quando è iniziato tutto? Come vi siete accorti del tumore?
La diagnosi è arrivata nel gennaio 2018. C’era stato un primo segnale nel novembre del 2017, quando Patrick aveva avuto dei forti dolori addominali e si era recato al pronto soccorso per capire di cosa si trattasse. L’hanno rimandato a casa senza fargli nessun tipo di accertamento, ma lui non si è arreso: si è rivolto al medico di base e, su consiglio di quest’ultimo, ha fatto una serie di esami. Solo a gennaio, tramite la colonscopia, abbiamo preso consapevolezza di quello che stava succedendo. Da quel momento, abbiamo consultato vari chirurghi e oncologi per capire se procedere prima con la chemio e poi con l’operazione o viceversa. Dopo aver sentito diversi pareri, si è deciso di procedere con l’intervento per rimuovere con urgenza quello che c’era. Il tumore era già esteso.

L’intervento c’è stato, poi Patrick ha trascorso quaranta giorni in ospedale.
Sì, perché l’intervento in sé e per sé è andato bene, ma poi ci sono state delle complicazioni. Ha avuto una trombosi venosa profonda. Questo ha portato a delle ischemie, è stato in coma cinque giorni. Ma, grazie alla sua forza di volontà, è riuscito a venirne fuori. Si è ripreso, ha dovuto fare riabilitazione. Aveva una ridotta capacità sia motoria che linguistica. E finalmente quando è uscito dall’ospedale ha recuperato un po’ le forze e a maggio ha iniziato la chemioterapia.

Ma poi il tumore si è ripresentato…
Già la prima tac di verifica dopo il primo ciclo di chemio ha mostrato che la terapia con Folfox non stava funzionando, i medici hanno cambiato terapia passando al Folfiri, ma purtroppo il tumore si è dimostrato resistente anche a questa chemio. Per le caratteristiche della sua malattia non c'è radioterapia né immunoterapia.

Per questo Patrick è costretto ad andare in Usa. Vi siete informati voi sul centro o ve l’hanno suggerito?
No, no, ci siamo dovuti informare noi. I medici ci hanno detto: ‘Rivolgetevi a qualche altro centro’. Sì, ma a chi? Non hanno saputo rispondere. Fortunatamente, una mia ex collega di Università fa la ricercatrice negli Stati Uniti da diversi anni: è stata lei a mettermi in contatto con il Penn Medicine's Abramson Cancer Center Clinical (Pennsylvania), altrimenti non avrei saputo come comportarmi. Sono stata fortunata perché avevo degli agganci, altrimenti... Tra l’altro, sono ancora in attesa di avere un parere dagli oncologi che dovrebbero seguire Patrick. I protocolli possibili sono tre ed è necessario sceglierne uno. Non abbiamo nessuna consapevolezza di quello che c’è in questi farmaci. Siamo stati proprio abbandonati a noi stessi. Nessuno ci ha aiutato.

La più grande speranza dunque rimangono gli Stati Uniti, per questo ha lanciato la raccolta fondi.
Sì, perché il tempo stringe. Il medico ci ha detto di non aspettare.

Quindi dovreste partire il prima possibile?
Dalla Pennsylvania ci hanno già sollecitato, i dottori hanno visto le carte, mi hanno mandato i possibili protocolli. Il problema è che non c’è modo di partire se si raggiunge solo una parte della cifra. Vogliono tutto il denaro subito.

Patrick continua a lottare?
Lui ha voglia di lottare, ma è stanco, non ne può più, ultimamente sta peggio, è sempre a letto. Finora ha avuto una grinta pazzesca, ma ora è proprio stanco. Però i nostri progetti futuri sono sempre lì.

Come quello di  avere un bimbo?
Sì, stavamo provando ad avere un bimbo. Non si può abbandonare un sogno di vita a 40 anni.

La raccolta fondi sta già dando i suoi frutti. Patrick sente l’affetto della gente?
Sì. Fa piacere vedere che c’è gente che si attiva, persone che cercano di dare una mano in ogni modo. Devo dire che Patrick è molto riservato e quindi questa iniziativa un po' lo turba. Credo sia anche una questione psicologica: vedere che la speranza è appesa a un qualcosa che non puoi controllare (né la malattia né tanto meno la possibilità di cura) non è facile. Però capisce che è stato utile e spera di trovare il supporto necessario per le cure e per continuare a vivere.

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