Gli indagati avrebbero anche tentato di costringere la giovane a sottoporsi a visita psichiatrica, per ottenere una certificazione medica attestante la non capacità di intendere e di volere
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Avrebbero tentato di persuadere una giovane vittima di violenza sessuale, loro familiare, a ritrattare la denuncia degli abusi subiti che aveva portato all'identificazione di 20 persone, alcuni anche minori, legati da vincoli di parentela a esponenti di vertice di cosche della 'ndrangheta. Per questo motivo quattro persone, due donne e due uomini, sono stati arrestati e posti ai domiciliari dagli agenti di Palmi e Reggio Calabria per i reati di violenza o minaccia per costringere a commettere reato e intralcio alla giustizia. La vittima sarebbe stata anche "invitata" a suicidarsi da parte dei parenti, che le avrebbero pure disattivato la scheda telefonica del cellulare, simulandone uno smarrimento.
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Gli arresti sono stati fatti in esecuzione di un'ordinanza emessa dal Tribunale di Palmi. L'attività investigativa che ha portato agli arresti è collegata all'operazione "Masnada", coordinata dalla Procura di Palmi e nell'ambito della quale, a novembre, la polizia ha arrestato tre "rampolli" di 'ndrangheta e il figlio di un amministratore locale. Erano stati, inoltre, individuati una ventina di soggetti, alcuni dei quali minorenni, che in qualche modo, stando alle indagini, avevano partecipato alle violenze sessuali nei confronti di due vittime .
Dopo il blitz del commissariato eseguito nelle scorse settimane contro i presunti componenti del branco, adesso è arrivata l'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip nei confronti dei familiari di una delle due vittime. Ai domiciliari sono finiti il fratello e la sorella della ragazza abusata dal branco, assieme ai loro rispettivi compagni. Proseguendo le indagini, i poliziotti hanno accertato vari e reiterati episodi di vessazione subiti dalla ragazza da parte dei propri familiari che, contrari alla sua scelta di denunciare, hanno costantemente tentato di ostacolarne la collaborazione con gli investigatori cercando di farle ritrattare quanto già dichiarato davanti all'autorità giudiziaria.
Gli indagati avrebbero anche tentato di costringere la giovane a sottoporsi a visita psichiatrica, con l'intento di ottenere una certificazione medica attestante la non capacità di intendere e di volere, rendendone inutilizzabili e inattendibili le dichiarazioni.