Perplessità da parte del legale della vittima: "L'incappucciamento, il denudamento, il pestaggio, come si vede dalle immagini di videosorveglianza, erano chiari"
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"Non fu tortura, ma abuso di autorità contro un detenuto in concorso; non furono lesioni ma percosse aggravate". Lo ha deciso il gup del tribunale di Reggio Emilia, che ha condannato dieci agenti della polizia penitenziaria (otto dei quali erano accusati di tortura). Le condanne vanno da quattro mesi a un massimo di due anni per gli imputati. La Procura aveva chiesto pene fino a cinque anni e otto mesi. Il falso invece ha retto per i tre imputati a cui era contestato. Il processo era arrivato al termine di un'indagine partita da un video shock che documentava il pestaggio subito il 3 aprile da un detenuto tunisino nel corridoio del carcere di Reggio Emilia.
Qualche abbraccio e scene composte di commozione alla lettura della sentenza. Il dispositivo del giudice Silvia Guareschi ha ridimensionato infatti le accuse, facendo cadere il reato di tortura: in tribunale erano presenti anche molti parenti e colleghi degli imputati, e hanno atteso insieme a loro e ai difensori per tutta la giornata la lettura arrivata dopo quasi quattro ore di camera di consiglio. Gli imputati, condannati a pene fino a due anni, sono ancora tutti sospesi dal servizio. "Il mio assistito è tranquillo", ha detto l'avvocato Luca Sebastiani, parte civile per il detenuto, aggiungendo di essere "perplesso e attonito" per la decisione.
"Leggeremo le motivazioni che hanno portato alla riqualificazione del reato di tortura che è ciò che più ci interessava. Al di là della pena, che non ci interessa in alcun modo, e del risarcimento che ci interessa in maniera incidentale. L'incappucciamento e il denudamento in quelle modalità, il pestaggio che c'è stato, come si vede dalle immagini di videosorveglianza, erano chiare e non a caso il gip e il riesame avevano confermato quella qualifica, la tortura. Ad oggi il quadro è cambiato, valuteremo le opportune mosse una volta lette le motivazioni".