Giampiero Parete, il cuoco che tentò di far partire i soccorsi, ricorda a Il Corriere della Sera la tragedia di un mese fa e racconta il suo presente: "Non riesco a dormire"
"Non riesco a dormire e mi rivedo quel che abbiamo vissuto, come fosse un film". Su Il Corriere della Sera ripercorre a quasi un mese di distanza la tragedia dell'hotel Rigopiano di Farindola (Pescara), Giampiero Parete, lo chef che riuscì fortunosamente a salvarsi quando la slavina travolse l'albergo al cui interno c'erano moglie e figli. Morirono in 29. "Di quella notte ricordo solo il silenzio, in auto con Fabio Salzetta (l'altro sopravvissuto, ndr). Vorrei essere utile alle famiglie che soffrono, ma non so come fare - aggiunge. - E' come se avessi un debito nei confronti delle vittime: andrò sulle loro tombe, ma non ora".
Parete e i due bimbi stanno lentamente tornando alla normalità: lui ai fornelli del ristorante di Silvi Marina (Teramo) di Quintino Marcella, che il sopravvissuto contattò nel disperato tentativo di ricevere soccorso; i piccoli a scuola, dove disegnano e sono seguiti da vicino da insegnanti e psicologi. La moglie Adriana, infermiera, non ce la fa ancora a riprendere i turni in clinica.
Parete nell'intervista a Il Corriere della Sera ripercorre i momenti in auto con Salzetta, nell'attesa dei soccorsi, e i giorni in ospedale, fino alla notizia che i suoi cari erano stati estratti vivi dalla prigione di ghiaccio e macerie. "Dicono che mi avevano sedato per farmi stare tranquillo, - riferisce - ma io sentivo ogni cosa, anche con gli occhi chiusi. Mi chiedevo cosa avrei fatto dopo, ero solo al mondo. Mi sentivo congelato. Ma non per la neve. Avevo il gelo dentro. Quella notte, la mattina seguente. Fino a quando una psicologa mi disse di tirarmi su dal letto, di mettermi a sedere, che c' era una bella notizia".
E nel trigesimo della tragedia il dolore è ancora troppo forte. "Scriva che siamo vicini agli altri, che siamo con loro", si raccomanda al giornalista, dopo aver ricordato di non essere riuscito a partecipare alle esequie delle vittime. "Penso alle persone che ho conosciuto in quei due giorni e adesso non ci sono più. All'estetista, al maître che era così gentile, al cameriere che ci aveva portato in stanza la cena per i bambini. Mi vengono in mente i loro volti, le parole che ci siamo scambiati. Non ce l'ho fatta a partecipare al loro funerale, ma un giorno, quando sarò pronto, vorrei andare con mia moglie sulle loro tombe. Devo farlo. È come se avessi un debito".