Le dichiarazioni precedenti del giovane, che aveva accusato i familiari del delitto, erano state considerate inutilizzabili
© Ansa
Ali Haider, il fratello di Saman Abbas, la 18enne di origini pachistane sparita da Novellara (Reggio Emilia) nel maggio del 2021 e trovata senza vita nel novembre 2022, "allo stato non è stato iscritto nel registro degli indagati" della Procura per i minorenni di Bologna. Lo si è appreso nel corso dell'udienza in Corte d'Assise a Reggio Emilia, dopo che la presidente Cristina Beretti aveva sollecitato la richiesta di informazioni all'ufficio minorile. "Voglio parlare, voglio dire tutta la verità", ha dichiarato Ali Hader durante l'udienza del processo per la morte della ragazza, che vede imputati il padre, la madre, uno zio e due cugini. Il 18enne nel corso della testimoniana ha dichiarato: "Mio padre mi disse di non parlare".
© Tgcom24
Quando in passato affermò che i suoi cugini non c'entravano nulla "ho detto una bugia perché mio padre mi disse di farlo... mi ha detto di non dire niente". Il fratello di Saman ha risposto così, nell'aula dell'Assise di Reggio Emilia, alle domande dell'avvocato dell'imputato Nomanhulaq Nomanhulaq, suo cugino. "Io da piccolo avevo paura di mio padre e di mio zio", ha aggiunto. "Quando sono andato dall'altro giudice - ha continuato - ho detto che non hanno fatto niente, ero costretto da mio padre". Quando avvenne? "Non lo ricordo. Ma prima e dopo mi hanno chiamato e detto di non dire niente dei cugini".
Qualcuno ti aveva detto che Saman era stata seppellita? "Sì". E chi te lo aveva detto? "Noman, gli avevo chiesto io, perché volevo abbracciare mia sorella. Ma l'ho chiesto anche allo zio, prima di partire per Imperia". Ha risposto così il 18enne riferendosi al cugino e allo zio Danish Hasnain, entrambi imputati per l'omicidio della ragazza. Nei giorni successivi alla scomparsa di Saman, il giovane partì per la Liguria, insieme allo zio, ma venne fermato a un controllo e portato in una comunità per i minorenni, all'epoca era sedicenne. Lo zio invece lasciò l'Italia e venne rintracciato in seguito, mesi dopo, in Francia. E perché di questo, ha domandato l'avvocato di Nomanhulaq, non parlasti negli interrogatori al pm e ai carabinieri? "Perché non mi dissero di preciso dov'era, solo che era sotto terra. E sempre per la questione di mio papà, avevo paura di lui". L'audizione è proseguita, con continue richieste sulle dichiarazioni fatte in precedenza dal giovane testimone, davanti agli investigatori e poi davanti al giudice in incidente probatorio, tra maggio e giugno 2021.
"Mentre facevano i piani, io stavo sulle scale ad ascoltare, non tutto ma quasi. Ho sentito una volta mio padre che parlava di 'scavare'". Chi faceva i piani? "Noman, papà, mamma e altri due, Danish e Ikram", ha detto ancora il fratello di Saman, rispondendo alle domande nell'aula della Corte di Assise e indicando i cinque familiari imputati per l'omicidio della sorella come persone presenti nella conversazione, in camera da letto, che lui ascoltò, nei giorni prima della scomparsa: il cugino Nomanhulaq Nomanhulaq, il padre Shabbar Abbas, la madre Nazia Shaheen, lo zio Danish Hasnain e l'altro cugino Ikram Ijaz. Dov'era Saman mentre sentivi queste cose? "Non ricordo, sono confuso". E, dopo una lunga pausa di silenzio, ha ribadito di non ricordarsi. La riunione durò "più o meno mezz'ora". Oltre a "scavare", il giovane ha detto che ricorda di aver sentito anche "passare dietro alle telecamere".
In aula è stato mostrato un video risalente al 29 aprile 2021 in cui si vede Saman che parla con il fratello nel cortile della loro abitazione di Novellara e la ragazza che a un certo punto lo colpisce con uno schiaffo. Interpellato sul motivo del gesto dal difensore del cugino, avvocato Luigi Scarcella, il giovane ha risposto: "Avrà detto qualcosa per scherzare". Era capitato altre volte? "Sì, per scherzare, quando litigavamo", ha aggiunto il giovane testimone. Il fratello ha raccontato poi un episodio: "Un giorno mio papà era a lavorare, eravamo a casa io e Saman, io volevo vedere la tv, lei qualche serie. Litigammo come succede tra fratello e sorella. Io le presi i capelli e le feci male. Lei andò in bagno a piangere, poi si andò a lavare la faccia e dopo mio padre, appena tornato dal lavoro, vide gli occhi rossi e mi picchiò con calci e pugni". Quando avvenne tutto questo? "Prima che successe questo casino", ha detto il giovane pachistano.
Luigi Scarcella, difensore di Nomanhulaq Nomanhulaq, ha rivolto al fratello di Saman anche una serie di domande sul telefono utilizzato all'epoca dei fatti, aprile e maggio 2021, e sulle date in cui venne sentito dai carabinieri e dal pm. Ali Haider in risposta ha pronunciato in italiano una serie di "non ricordo".
"Sto troppo male". E i video proiettati in aula, durante l'udienza "mi fanno male". Dopo alcune ore di testimonianza, il fratello di Saman ha ceduto alle lacrime.
Alla deposizione del ragazzo hanno assistito anche il padre, Shabbar Abbas, i cugini e lo zio Danish Hasnain. Il testimone, che ha da poco compiuto 18 anni, è stato fatto entrare prima dell'ingresso dei parenti ed è stato sentito dietro a un doppio paravento ma il suo volto è stato ripreso negli schermi a lato dell'aula dell'Assise.
Nell'udienza di venerdì 27 ottobre, la Corte aveva dichiarato inutilizzabili le precedenti dichiarazioni del giovane, rese tra maggio e giugno del 2021, perché, secondo i giudici, doveva essere iscritto nel registro degli indagati, anche a sua garanzia, nel procedimento per omicidio della sorella. La sua veste processuale era dunque mutata da testimone a quella di potenziale indagato in un procedimento connesso. L'ordinanza emessa dalla Corte è stata inviata dalla Procura reggiana a quella per i minori, competente perché all'epoca il fratello di Saman aveva 16 anni. Nelle sue dichiarazioni, Ali Haider accusava i familiari.
La Corte d'Assise di Reggio Emilia ha rigettato la richiesta di esclusione di Valeria Miari, legale di Ali Haider, che aveva rinunciato al mandato come avvocato di parte civile per il giovane e per l'Unione Comuni della Bassa Reggiana.