LA DONNA IN LACRIME

Saman, la madre in aula: "Non sono stata io a ucciderla"

Ha pianto davanti ai giudici della Corte di assise di appello di Bologna

20 Mar 2025 - 13:17
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"Non sono stata io a uccidere mia figlia". Lo ha affermato la madre di Saman Abbas, Nazia Shaheen, in lacrime davanti ai giudici della Corte di assise di appello di Bologna. Vestita con abito tradizionale pachistano e un velo blu scuro a coprirle il capo, la donna ha reso la sua testimonianza con la traduzione di un interprete. "Io sembro essere in vita - ha aggiunto -, ma in realtà mi sento morta e, finché non morirò, passerò la mia vita piangendo. Ho insistito di voler rientrare in Italia per dire la verità. Non riesco a dimenticarmi di Saman, ho sempre il suo ricordo".

"Uscii con lei, poi la vidi sparire"

 La madre di Saman ha ripercorso l'ultima giornata di vita della giovane, il 30 aprile 2021. "Siamo usciti insieme, ho visto Saman che si stava incamminando molto velocemente. Poi l'ho vista sparire", ha raccontato. La donna ha poi spiegato che, nel corso della giornata, la figlia 18enne aveva a più riprese manifestato l'intenzione di andare via dalla casa di Novellara (Reggio Emilia), ma aveva fatto anche altro: per esempio le aveva chiesto di aiutarla a tingersi i capelli e aveva giocato col cellulare insieme al fratello minore. "Quella sera - ha detto - ogni volta che menzionava l'intento di tornare in comunità io mi sentivo male e uscivo di casa per poter respirare, in diverse occasioni mi ha seguita". Poi a un certo punto, quando Saman ha ribadito le proprie intenzioni, "io iniziai a piangere, le dissi di non andarsene, lei allora disse 'Ok, non vado oggi, ma sicuramente andrò via di qui'".

A differenza di quanto dichiarato dall'altro suo figlio, "non ci fu nessun litigio, ma una discussione col padre che le diceva di non andarsene. Io uscii in giardino, mi sentii male di nuovo, ho questi attacchi di panico da quando lei andò in comunità per la prima volta". Quando Saman insistette ancora una volta per andare, "io e Shabbar ci mettemmo ai suoi piedi, chiedendole di non farlo". Poi "lei è uscita, siamo usciti anche a noi. Dalle telecamere si vede, ma sarebbe stato bello se ci fosse stata la registrazione delle voci, perché continuamente la pregavamo di non andare".

"Mi sarei battuta per lei"

 "L'ho solo vista allontanarsi. Se avessi visto qualcosa mi sarei battuta per fermare qualsiasi tipo di aggressione nei suoi confronti, perché sono mamma", ha aggiunto Shaheen. "Non ho visto Danish o gli altri", ha aggiunto, "non ho visto nessuno. Poi rincasai e andai al piano di sopra dove c'era l'altro mio figlio, iniziai a piangere". Il primo maggio 2021, il giorno dopo, sarebbe partita per il Pakistan insieme al marito: "Era una partenza programmata, Saman e suo fratello lo sapevano. Ho passato la notte piangendo, la mattina dopo partimmo per il Pakistan. Il rientro di Shabbar era previsto dopo una settimana. Sono stata molto male durante il viaggio. Dopo un paio di settimane venne una persona a casa nostra e ci disse 'Non si trova più Saman'. Poi mi dissero che era morta Saman, allora chiesi a Shabbar se era vero e mi disse che lo aveva saputo pochi giorni dopo essere arrivato in Pakistan ma non me lo aveva detto perché stava male. Non ci rimaneva altro che piangere", ha detto l'imputata, estradata la scorsa estate.

"Prima non c'è stato nessun incontro da noi"

 "Non è vero che ci siamo radunati per parlare di Saman, non ci siamo trovati a casa nostra. Non c'è stato nessun incontro, neanche dei cugini. Riguardo ai nostri figli nessun altro familiare può permettersi di parlare di loro", ha affermato la madre di Saman, contraddicendo quindi le parole del figlio e fratello, minore all'epoca dell'omicidio, della giovane uccisa, che aveva testimoniato su un incontro nei giorni precedente alla morte della sorella. "Non c'è stata nessuna pianificazione, nessun programma per uccidere, non so niente". "Mio figlio ha detto che la sera del 30 aprile c'era Danish (lo zio di Saman, imputato, ndr) a casa nostra, ma non è vero", ha detto anche.

Il padre di Saman: "Non abbiamo ucciso nostra figlia"

 "Voglio precisare che non siamo stati noi genitori a uccidere nostra figlia. Abbiamo fatto molta fatica a crescere i nostri figli. Ho forte dolore, dal momento in cui l'ho scoperto fino ad oggi. Lo avrò per tutta la vita". Anche il padre di Saman, Shabbar Abbas, condannato all'ergastolo in primo grado, ha ribadito nelle dichiarazioni spontanee in Corte di assise di appello l'estraneità sua e della moglie all'omicidio della 18enne. "Come ha detto mia moglie noi uscimmo di casa, lei (Saman) andò nella strada, era buio, non abbiamo visto nulla", ha aggiunto l'imputato, parlando in pachistano e tradotto da un interprete.

"Pochi momenti prima c'era stata una chiamata di Saman, che aveva fatto dal bagno: ha detto 'Vieni a prendermi'. Pensavo fosse il ragazzo con cui stava e per quello chiamai Danish per dirgli: 'Fatevi trovare per dargli una lezione, ma non picchiatelo troppo", ha continuato, ribadendo un racconto già fatto da lui, nelle dichiarazioni al termine del processo in primo grado a Reggio Emilia. "Uscii di casa per vedere che non facessero qualcosa di grave, ma non ho visto nessuno, non ho sentito nessuna voce. La mattina dopo chiesi a Danish cosa avevano fatto col ragazzo, mi dissero che non avevano fatto niente, non erano neanche venuti sul posto". Poi "siamo partiti per il Pakistan". 

"Penso siano stati lo zio e i cugini"

 "Il 29 aprile non è stato fatto niente da nessuno, quello che è successo, è successo il 30, ma io non so, adesso, cosa è successo e cosa è stato fatto. Ho sentito Danish che ha dichiarato che erano presenti lui e gli altri due, quindi penso siano stati loro tre". Lo ha detto il padre di Saman, riferendosi allo zio e ai due cugini della figlia 18enne. Lo zio e i due cugini sono imputati, ma mentre Shabbar e la moglie sono stati condannati in primo grado all'ergastolo, lo zio ha avuto una pena di 14 anni, i due cugini sono stati assolti. Nella scorsa udienza Danish Hasnain ha raccontato di essere arrivato nelle serre vicino alla casa di Saman e di aver visto la ragazza già morta e di aver solo aiutato i due cugini a seppellirne il corpo.

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