La Corte d'appello di Roma scrive che "residuano delle perplessità sulla sua effettiva estraneità all'eccidio"
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Beniamino Zuncheddu è stato assolto ai sensi del comma 2 dell'art. 530 del codice di procedura penale, quindi non con formula piena. È quanto si legge nelle motivazioni della sentenza con cui, nel gennaio scorso, la Corte d'appello di Roma ha revocato la condanna all'ergastolo dell'ex pastore di Burcei, accusato di triplice omicidio per la strage di Sinnai del gennaio 1991. Zuncheddu "fu condannato perché il teste oculare dichiarò di averlo riconosciuto come l'aggressore, nonché per aver fornito un alibi falso", si legge ancora. Nel motivare l'assoluzione, la Corte scrive che "all'esito dell'istruttoria oggi svolta residuano delle perplessità sulla sua effettiva estraneità all'eccidio, commesso verosimilmente da più di un soggetto, uno dei quali, diversamente da quanto opinato nell'istanza di revisione, non era un cecchino provetto, non riuscendo nell'intento omicidiario nemmeno dopo aver sparato due colpi a distanza ravvicinata in un luogo talmente stretto che 'non occorreva prendere la mira'".
I giudici hanno assolto Zuncheddu basandosi sulla ritrattazione del testimone oculare e unico sopravvissuto alla strage, Luigi Pinna. "La ritrattazione del Pinna nel corso dell'attuale istruttoria di revisione non può dirsi frutto di una resipiscenza spontanea, ma resta pur sempre il fatto che egli ha reso una deposizione quantomeno contraddittoria e confusa", è scritto nelle motivazioni della sentenza. "Il venir meno di tale prova fondamentale, pur residuando delle perplessità sulla effettiva estraneità di Beniamino Zuncheddu sulla strage, anche per 'l'aiuto' ricevuto dai suddetti terzi per indurre Pinna alla ritrattazione, non consente di pervenire a una conferma della sentenza di condanna, dovendosi quindi assolvere l'imputato, non già perché si è raggiunta la piena prova della sua innocenza, bensì perché il quadro indiziario di per sé non è sufficiente per affermare la sua colpevolezza e quindi l'assoluzione deve essere formulata ai sensi del comma 2 dell'articolo 530 del codice di procedura penale".
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I giudici criticano anche la stampa per come ha raccontato la vicenda: "La già esile speranza di poter pervenire a una ricostruzione veritiera e attendibile dello svolgimento dei fatti dopo 30 anni, è stata gravemente pregiudicata dalla forte attenzione mediatica riservata a questa vicenda", stigmatizza la Corte, "tale per cui sono state divulgate disinvolte ricostruzioni dei fatti, arricchite da discutibili commenti, giudizi personali, congetture, valutazioni unilaterali prive del dovuto contraddittorio (e quindi lacunose e parziali), che hanno inciso sulla genuinità dei testi, che invece avrebbero forse potuto offrire qualche spiraglio di verità se fosse stato lasciato libero il campo alla memoria di ciascuno di essi, non influenzata da narrazioni preconfezionate".