Tonino il napoletano, il "re" del traffico di droga lungo l’asse Milano-Lecco negli anni Ottanta e Novanta, ha collaborato con la giustizia e nel 2018 avrà finito di scontare la sua pena. E' ai domiciliari dal 2013
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Schettini, detto Tonino il napoletano, l'uomo che ha confessato 59 omicidi (37 eseguiti, gli altri ordinati o organizzati), il boss del traffico di droga lungo l’asse Milano-Lecco negli anni Ottanta e Novanta, a breve sarà un uomo libero. Dopo "solo" 26 anni di detenzione, quasi tutti in 41 bis, a inizio del 2018 e da 60enne avrà finito di scontare la sua pena. Collaboratore di giustizia, così si spiega lo sconto della reclusione, era ai domiciliari già da 4 anni per motivi di salute con regolare permesso di uscire per andare al lavoro.
In cella dal 1992. Coinvolto nelle maxi indagini Wall Street e Count Down, Schettini finisce in cella nel 1992 per l’omicidio del narcotrafficante Alfonso Vegetti, a Cinisello Balsamo. Nel '94 inizia a collaborare con i magistrati e nel 2001 è fuori con altri 78 boss per un pasticcio della giustizia: erano scaduti i tempi di detenzione prima del processo di appello. Per Tonino il tribunale dispone il soggiorno obbligato a Pisa, ma nel giro di poco sparisce e la Squadra mobile lo riporta dentro. Gli agenti lo catturano inscenando un cantiere in autostrada, a Melegnano: per lui regime di carcere duro, 41 bis.
Dalla Campania alla Lombardia. Schettini, nato a Napoli da una famiglia di ferrovieri, si trasferisce al Nord nel 1979. A Calusco d’Adda, sul confine con Lecco, ai tempi apre il ristorante O’ Scugnizzo. È dove tutto ha inizio: gli serve poco tempo per scalare, nel suo locale passata tutta la malavita "in voga". Si affilia alla 'ndrangheta, si fa battezzare picciotto e finisce per passare dall'ala mite a quella esecutiva dell’organizzazione. Strangolamenti e agguati si susseguono per un decennio con la banda dei Trovato-Flachi che acquista potere, stringe patti e scatena la guerra contro i Batti, “colpevoli” di intralciare il loro dominio sugli stupefacenti. Un bagno di sangue, culminato, secondo i giudici, nell'esecuzione di Roberto Cutolo, figlio di Raffaele, il noto boss della camorra. Era il 1990.