Duro colpo alla mafia, 93 arresti a Palermo Accertate numerose estorsioni in città
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Maxi-operazione contro i clan dei mandamenti di Resuttana e San Lorenzo, due latitanti. Scoperto dopo cento anni l'assassino del poliziotto Joe Petrosino
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Carabinieri, polizia e gdf hanno arrestato a Palermo 93 "uomini d'onore" dei mandamenti mafiosi di Resuttana e San Lorenzo, accusati di associazione mafiosa, estorsione e altri reati, sequestrando complessi aziendali per milioni di euro. Due persone risultano latitanti. Nel corso dell'operazione "Apocalisse" gli investigatori hanno accertato numerose estorsioni a imprese edili e attività commerciali, riscontrando un condizionamento dell'economia locale.
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Sono complessivamente 95 le misure cautelari emesse dal Gip del Tribunale di Palermo, Luigi Petrucci, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia. In particolare dei 95 indagati, 78 sono destinatari di ordinanza di custodia cautelare in carcere, 13 agli arresti domiciliari, due di obbligo di dimora, uno di divieto di dimora e uno di obbligo di presentazione alla Polizia giudiziaria. Due delle persone colpite da ordine di custodia cautelare risultano latitanti.
A capo del mandamento di Tommaso Natale e Resuttana, secondo le indagini, c'era lui: Girolamo Biondino, fratello di Salvatore, l'autista di Totò Riina. Era da poco stato scarcerato ed era tornato a comandare il clan. Per cercare di non finire di nuovo in carcere, Biondino faceva il pensionato. Girava in autobus e non si faceva vedere in giro con altri uomini d'onore. Secondo gli investigatori era lui a tenere le fila e imporre il pizzo a tappeto nel mandamento.
Le indagini hanno consentito anche di azzerare il mandamento un tempo guidato dai boss Sandro e Salvatore Lo Piccolo e successivamente diretto da Giuseppe Liga, detto l'architetto. Nel corso delle indagini sarebbe emerso un ridimensionamento ulteriore dei Lo Piccolo a vantaggio della cosca di Porta Nuova. Giuseppe Fricano, anche lui finito in manette, ritenuto dagli investigatori da sempre vicino alla famiglia Madonia, si sarebbe infatti avvicinato al clan di Porta Nuova. Questa circostanza, secondo gli investigatori, testimonierebbe la volontà di riunire le forze da parte della mafia, per cercare di serrare le file dopo i gravi colpi inferti dalla forze dell'ordine e imporre una nuova leadership in tutta la città.
Le accuse contestate, a vario titolo, sono associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, traffico di sostanze stupefacenti, fittizia intestazione di beni, riciclaggio, reimpiego di denaro proveniente da delitto, illecita concorrenza con violenza o minaccia, detenzione illegale di armi e munizioni e reati di natura elettorale. Nell'ambito della stessa operazione gli investigatori stanno eseguendo otto provvedimenti di sequestro preventivo di imprese, intestate a prestanome, ma riconducibili ad elementi di spicco di Cosa Nostra.
Insulti su Facebook del boss contro i pentiti - Dall'operazione emergono anche gli insulti su Facebook di un boss nei confronti dei pentiti. A firmarli era Gregorio Palazzotto, titolare di una ditta di traslochi, secondo gli investigatori il capo della cosca dell'Arenella. Palazzotto si trova in carcere, ma aveva aperto un profilo Facebook da dove insultava i pentiti. "Non ho paura delle manette, ma di chi per aprirle si mette a cantare". Attraverso la pagina sui social faceva anche rivendicazioni contro il sovraffollamento delle carceri e chiedeva l'amnistia.
Scoperto l'omicida del poliziotto Joe Petrosino - Dopo oltre cento anni si sarebbe inoltre scoperto il killer che uccise in piazza Marina a Palermo il poliziotto italo-americano Joe Petrosino. Una cimice ha registrato una frase di Domenico Palazzotto, arrestato oggi, che si vantava delle tradizioni centenarie di appartenenza alla mafia della sua famiglia. "Lo zio di mio padre si chiamava Paolo Palazzotto, ha fatto l'omicidio del primo poliziotto ucciso a Palermo. Lo ha ammazzato lui Joe Petrosino, per conto di Cascio Ferro". Petrosino fu ucciso la sera di venerdì 12 marzo 1909. Dagli Stati Uniti era arrivato nel capoluogo siciliano per debellare l'organizzazione criminale Mano Nera.