Fu la mafia a uccidere Mauro Rostagno: condannati all'ergastolo due boss trapanesi
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La sentenza 25 anni dopo l'omicidio, avvenuto nel settembre del 1988
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La Corte d'Assise di Trapani, presieduta da Angelo Pellino, ha condannato all'ergastolo i boss trapanesi Vincenzo Virga e Vito Mazzara, accusati dell'omicidio del sociologo Mauro Rostagno, assassinato a Valderice (Tp) il 26 settembre del 1988. La camera di consiglio dei giudici, che è durata due giorni e mezzo, ha accolto quindi le richieste dei pm Gaetano Paci e Francesco Del Bene.
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La mafia, quindi, uccise Mauro Rostagno: il giornalista-sociologo venne eliminato perché aveva alzato il velo sugli interessi di Cosa nostra a Trapani. Virga sarebbe stato il mandante del delitto, Mazzara l'esecutore materiale dell'agguato. La sentenza è stata letta in un clima di grande tensione: in aula pianti e soddisfazione tra gli amici di Rostagno.
Il collegio ha condannato i due imputati al risarcimento delle parti civili tra le quali l'Ordine dei giornalisti, la comunità Saman, di cui Rostagno era il fondatore, i familiari del sociologo e l'Associazione della stampa. La Corte ha anche disposto la trasmissione in Procura delle deposizioni di una serie di testimoni tra i quali l'ex sottufficiale dei carabinieri Beniamino Cannas e dell'editrice dell'emittente televisiva Rtc, Caterina Ingrasciotta, televisione privata dalla quale Rostagno denunciava cosa nostra e i suoi legami con la massoneria deviata.
Il verdetto mette un punto fermo su una vicenda riaperta dopo una lunga paralisi investigativa attorno a piste rivelatesi inconsistenti. E' stato Antonio Ingroia, allora pm della Dda di Palermo, a riaprire il caso su input del capo della squadra mobile Giuseppe Linares, ora dirigente della Dia campana. Una nuova impostazione investigativa ha fatto piazza pulita della tesi che aveva escluso la matrice mafiosa del delitto e l'aveva riportata all'interno della comunità Saman per tossicodipendenti. Storie private si sarebbero intrecciate con una confusa gestione della struttura. Niente di più falso: quelli erano, ha detto il pm Gaetano Paci, "pregiudizi di chi indagò sull'assassinio".
Rostagno invece fu ucciso per il suo "esemplare lavoro giornalistico" che aveva tanto infastidito la mafia. Passato attraverso l'esperienza della contestazione, negli anni Ottanta era approdato a Trapani dove aveva fondato la Saman con il suo amico Francesco Cardella. Ma in Sicilia aveva allargato l'orizzonte del suo impegno diventando una voce scomoda dell'informazione. Al punto che con i suoi interventi dagli schermi di Rtc di Trapani il giornalista-sociologo era diventato una "camurria" (rompiscatole). Così lo aveva apostrofato Francesco Messina Denaro, padre del superlatitante Matteo.
Rostagno seguiva le tracce dei traffici di droga, dei legami tra mafia e massoneria deviata, del malaffare nella pubblica amministrazione. Con i suoi servizi, ha sottolineato l'altro pm Francesco Del Bene, aveva "svelato il volto nuovo della mafia a Trapani": il passaggio da organizzazione tradizionale a struttura moderna e dinamica, gli intrecci con i poteri occulti, le nuove alleanze, il controllo del grande giro degli appalti. Mafia, dunque, "ma non solo mafia" ha puntualizzato l'accusa che ha puntato il dito, nella requisitoria conclusa con la richiesta di ergastolo per i due imputati, sulle omissioni investigative equiparate a veri e propri depistaggi culminati con l'arresto della compagna di Rostagno, Chicca Roveri.