Secondo le indagini l'uomo doveva essere punito per aver messo in discussione l'autorità del nuovo capo, Massimiliano Ficano
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I carabinieri di Palermo hanno sventato un omicidio di mafia pianificato dal clan di Bagheria ai danni di un uomo che aveva continuato a sfidare i vertici mafiosi nonostante gli "avvertimenti". Nel corso dell'operazione Persefone sono stati fermati 8 indagati, accusati a vario titolo di associazione mafiosa e finalizzata al traffico di stupefacenti, estorsione e lesioni aggravate.
Le indagini avrebbero accertato il passaggio del comando della famiglia di Bagheria da Onofrio Catalano (detto "Gino") a Massimiliano Ficano, ritenuto più autorevole, e che aveva l'appoggio e il forte legame con il capomafia ergastolano Onofrio Morreale. L'investitura sarebbe avvenuta con il placet dell'allora capo mandamento Francesco Colletti, arrestato nell'operazione Cupola 2.0 e ora collaboratore di giustizia. Ficano, che si vantava della sua tradizione familiare, aveva scontato una condanna definitiva per associazione mafiosa e, approfittando del vuoto di potere, aveva preso il comando anche con metodi violenti.
L'autorità del boss di Bagheria Massimiliano Ficano sarebbe stata messa in discussione da Fabio Tripoli, secondo le indagini dei carabinieri. Tripoli, apparentemente estraneo al contesto mafioso, ubriaco e spesso intemperante, si era permesso di sfidare pubblicamente il capo mafia. La reazione contro l'affronto non era tardata. Ficano avrebbe incaricato alcuni affiliati di picchiare Tripoli.
"Lo portiamo in campagna e lo scanniamo come un vitello. Perché ora così deve andare, le bontà non pagano, chi sbaglia paga", diceva Ficano nelle intercettazioni. Su ordine del boss, il 19 agosto, in sei lo avrebbero picchiato provocandogli un trauma cranico e la frattura della mano. Alla spedizione punitiva avrebbe preso parte, per i pm, Bartolomeo Scaduto e Ivan Salerno, mentre a fare da palo sarebbero stati Giuseppe e Nicolò Cannata, Emanuel D'Apolito.
Ma Tripoli nonostante il pestaggio aveva continuato a non calare la testa. L'affronto doveva essere pagato. La sentenza era stata emessa: Tripoli doveva essere ucciso. Le parole di uno degli indagati emerse dalle intercettazioni hanno accelerato il blitz. Bisognava intervenire subito. "Lo prendiamo, o lo lasciamo la, o lo prendiamo e lo buttiamo in un cassonetto di immondizia; ci dobbiamo organizzare questa volta bene, che dobbiamo fare le cose perfette", diceva Scaduto. Inoltre per cercare di costruirsi un alibi, dopo aver dato l'ordine di uccidere il "ribelle", il boss si era allontanato da Bagheria, anche per prepararsi alla fuga visto il pericolo di essere arrestato.