Coronavirus, i "ghisa" milanesi consegnano mascherine ai medici di base
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Una lettrice di Tgcom24 racconta la sua odissea: dimessa dal Sacco di Milano, non avendo mezzi propri per rientrare al suo domicilio, ha chiesto di essere accompagnata in modo protetto. Ecco cosa è successo
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Ha prima scoperto di essere positiva al Covid-19, poi sulla propria pelle ha avuto modo di riscontrare la vulnerabilità del protocollo per il rientro a casa dei pazienti malati. Una lettrice di Tgcom24 denuncia il rimbalzo di responsabilità tra Croce Rossa, 118 e 113. La storia ha un lieto fine ma pone un inquietante interrogativo: "Quanti positivi al coronavirus facendo finta di niente hanno preso un mezzo pubblico per tornare a casa esponendo altre persone al contagio?".
Ecco il testo integrale della lettera firmata ricevuta in redazione:
Caro direttore,
scrivo perché ho scoperto, sulla mia pelle, che a Milano esiste un “buco” nelle disposizioni per fronteggiare il coronavirus. Segnalo un episodio di cui sono stata protagonista e che spero non capiti più a nessun altro, in quanto estremamente preoccupante. Sono positiva al Covid-19 e nella giornata di mercoledì sono stata accompagnata in ambulanza all'ospedale Sacco di Milano. Non essendo necessario il ricovero, sono stata dimessa. Davo per scontato che, essendo io contagiosa e dunque “pericolosa” per la comunità, mi avrebbero riaccompagnata a casa in modo protetto, invece mi è stato riferito che l'accompagnamento è previsto solo per i pazienti che vengono dimessi dopo un ricovero. Tutti gli altri, anche se positivi al virus e contagiosi, devono tornare a casa con mezzi propri.
Ho chiesto aiuto alla Croce Rossa, ma non avevano mezzi a disposizione. L'operatore mi ha, però, suggerito di cercare un taxi predisposto per il trasporto di pazienti Covid. Ho dunque chiamato il radiotaxi e chiesto un'auto attrezzata. Ben cinque compagnie mi hanno risposto di non avere mezzi a disposizione. A quel punto, avrei potuto fare finta di niente e cercare un taxi senza far presente di essere positiva e contagiosa. Ma non me la sono sentita di mettere a rischio un ignaro tassista. Ho chiamato il 113. L'agente al telefono mi ha risposto che il mio problema non era di loro competenza e ha cercato di rimbalzarmi alla Croce Rossa. Ho riferito di aver già sentito l'associazione, mi è stato risposto: “Chiami il 118”. L'ho fatto, ma l'operatore mi ha risposto che la mia non era un'emergenza sanitaria: “Torni a casa con mezzi propri: si faccia dare un passaggio da un amico o un parente, oppure prenda i mezzi pubblici”.
Basita, ho richiamato il 113. Di nuovo l'agente al telefono ha cercato di rimbalzarmi. Di fronte alle mie proteste, anche lui mi ha consigliato di sbrigarmela da sola. A quel punto, stremata poiché era passata oltre un'ora e mi trovavo in strada, davanti all'uscita dall'ospedale e dolorante, ho minacciato di prendere sul serio un tram e poi la metropolitana, ma solo dopo essermi tolta mascherina e guanti! La minaccia ha funzionato: la polizia ha contattato il 118 e li ha convinti ad accompagnarmi a casa con un'ambulanza. Mi chiedo a quante persone sia capitata questa situazione. Soprattutto, mi chiedo quanti abbiano avuto la pazienza di aspettare più di un'ora per strada che le autorità preposte si rendessero conto della gravità della situazione. So per certo da un amico che un altro paziente Covid, trovatosi nella mia stessa situazione, ha fatto finta di niente ed è tornato a casa prendendo bus e metro. Quante persone avrà contagiato durante il percorso?
C. T.
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