Il verdetto su un caso di violenza sessuale del 2005 a Torino. I condannati non hanno mai risarcito la vittima. Ma una direttiva Ue prevede che in questi casi debba intervenire lo Stato
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Con un inedito verdetto, applicando l'orientamento tracciato a luglio dalla Corte di giustizia Ue, la Cassazione ha riconosciuto il diritto di una donna che aveva subito violenza sessuale, e non era stata risarcita dai suoi aguzzini, ad essere indennizzata dallo Stato. La questione del mancato risarcimento era finita davanti ai giudici comunitari perché il nostro Paese non ha recepito la direttiva Ue sul mancato indennizzo alle vittime.
Violentata e sequestrata nel 2005 - La vicenda risale al 2005 e riguarda una donna torinese di origini romene che fu vittima di sequestro di persona e violenza sessuale: rapita al rientro a casa da due sconosciuti, fu portata in un edificio fuori Torino e violentata per tuta la notte, per essere poi abbandonata per strada dai suoi aguzzini. I suoi violentatori erano successivamente stati identificati e condannati in contumacia a 10 anni, ma non avevano risorse economiche e si erano ben presto resi irreperibili. La sua guerra tra aule di tribunale e carte bollate per ottenere giustizia era quindi proseguita, con lo scopo di ottenere un risarcimento per quell'incubo che le aveva rovinato la vita. Una direttiva del 2004 stabilisce infatti per tutti gli Stati europei l'obbligo di approntare un sistema di indennizzo per le vittime di reati. Il governo però, davanti alla richiesta della donna, ha sostenuto la tesi che tale norma riguardasse le vittime in transito in Italia, non residenti, e comunque che non riguardasse le violenze sessuali.
Nel 2015 la richiesta di un risarcimento da 400mila euro - La donna presentò ricorso nel 2015 chiedendo un risarcimento da 400mila euro. L'Italia però non aveva ottemperato alla direttiva Ue del 2004: non aveva quindi messo in campo i meccanismi per risarcire le parti lese di reati violenti "nelle situazioni transfrontaliere", quando il colpevole non si trova o non ha i mezzi. E infatti la Commissione europea aveva aperto una procedura d'infrazione, che si era conclusa l'11 ottobre 2016 con una condanna della Corte di giustizia. Pochi mesi prima della sentenza, a luglio, il Parlamento aveva tentato di rimediare varando la legge 122 del 2016, che non fa distinzioni di residenza o cittadinanza: ma gli avvocati della donna hanno detto di ritenere insufficiente quella legge, alla quale comunque non seguiti decreti di attuazione.
Il giudice: "Non dimostrato che i colpevoli siano impossidenti" - Il passo successivo era stato il pronunciamento del giudice Anna Castellino, secondo cui lo Stato non era tenuto all'indennizzo perché questo deve subentrare solo "in presenza del presupposto dell'impossibilità di esercitare la pretesa nei confronti del responsabile in quanto incapiente o non identificato". E i legali della donna si erano limitati a osservare che i colpevoli erano "impossidenti" senza fornire le prove di "indagini patrimoniali negative". In seguito però, la Corte d'appello di Milano si era espressa diversamente confermando l'indennizzo in un altro caso simile, quello di due donne vittime di uno stupro di gruppo.
Offerto un indennizzo di 4.800 euro - L'iter giudiziario era quindi proseguito fino all'offerta di 4.800 euro di indennizzo alla donna di Torino: un importo fisso determinato con interventi normativi che si susseguono nel 2016, 2017 e e 2018 per rimborsare le vittime di reati. Cifre che vanno appunto da i 4.800 euro per chi subisce una violenza sessuale, ai 7.200 per il reato di omicidio, agli 8.200 se a commettere l'omicidio è il coniuge o una persona legate da relazione affettiva, ai 3mila per le lesioni personali.
La Cassazione: cifra "irrisoria" - La Cassazione non tarda a dare il suo parere su tali cifre, stabilendo che quegli indennizzi si collocano nell'area "dell'irrisorio" e che l'importo di 4.800 euro per le vittime di violenza sessuale è una somma "palesemente non equa". Un parere che viene ufficialmente sancito dall'odierno verdetto sulla vicenda.