La denuncia dell'Associazione Coscioni: "Secondo giudici e medici Martina non ha questo diritto poiché non dipende da macchinari"
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Il Tribunale di Trieste ha rigettato la richiesta di Martina Oppelli, donna malata di sclerosi multipla da oltre 20 anni, di ordinare all'azienda sanitaria universitaria "Giuliano Isontina" di accedere alla morte assistita. Lo rende noto l'Associazione Luca Coscioni che segue il caso, precisando che la decisione dei giudici è stata presa sulla scorta di una valutazione effettuata da medici specializzati. Dunque, "secondo i medici e il Tribunale, Martina non dipende da trattamenti di sostegno vitale quindi non ha diritto ad accedere al 'suicidio assistito' in Italia".
Commenta duramente la sentenza anche Martina Orpelli, la donna che lotta per avere il suicidio assistito: "Come faccio io, totalmente immobile, a bere, a mangiare, ad assumere farmaci nelle 24 ore, poiché necessito di antiepilettici anche la notte? Chi mi schiaccia la pancia fino a frullarla per riuscire ad espletare i bisogni fisiologici? Chi mi lava? Chi mi cambia i presidi per l'incontinenza? Chi si spezza la schiena per riuscire a piegarmi anche solo una gamba o per mettermi a letto o a sistemarmi sulla carrozzina? Chi mi accende il computer per poter accendere i comandi vocali indispensabili per lavorare? Evidentemente io sono qui 'a pettinare le bambole', citando Bersani", osserva la donna. "Avendo una invalidità certificata del 100 per cento con gravità riconosciuta ai sensi della legge 104, mi chiedo dunque se le commissioni esaminatrici non si siano sbagliate", prosegue Martina, attraverso una nota diffusa dalla Coscioni.
Per l'avvocato Filomena Gallo, "il difensore dell'azienda sanitaria, in udienza a gennaio, ha evidenziato che la sentenza 135/2024 della Consulta, essendo di rigetto, non è vincolante per i medici che hanno eseguito le nuove verifiche della condizione di Martina. E' per questo che martedì scorso - prosegue la Gallo - all'udienza in Corte costituzionale sul caso di Elena e Romano, abbiamo chiesto anche di ribadire l'interpretazione del concetto di trattamento di sostegno vitale ai fini dell'accesso al suicidio assistito con una sentenza di accoglimento, che possa vincolare aziende sanitarie e tribunali al suo rispetto e nel caso al rispetto della scelta di Martina".