Condannato a 5 anni, sconterà la pena in semilibertà andando in prigione solo a dormire
Il caso Thyssenkrupp torna alla ribalta: il manager tedesco Harald Espenhahn si trova infatti in carcere in Germania dal 10 agosto: sconterà la pena in semilibertà, andando solo a dormire in prigione. A quasi 16 anni dall'incendio dello stabilimento torinese che provocò la morte di 7 lavoratori, la vicenda processuale arriva quindi a una conclusione. Espenhahn era stato infatti condannato a 5 anni, ma finora non aveva scontato nemmeno un giorno di carcere. "Dopo tanto correre, scappare dalla giustizia - commenta Antonio Boccuzzi, scampato all'incendio - Espenhahn ha varcato la soglia del carcere. Non è un risarcimento, non è vendetta. È solamente l'unico epilogo che si sarebbe già dovuto compiere da tempo e che è stato solo rimandato".
A luglio Der Spiegel ha riportato la notizia di un manager tedesco di Thyssenkrupp - "condannato in Italia per un incendio con sette morti" - che ha visto fallire a fine maggio il proprio ricorso presso la Corte costituzionale federale tedesca per evitare di scontare la propria pena per "omicidio colposo e incendio doloso colposo". Dell'accusato il quotidiano tedesco non ha citato il nome, probabilmente per una ricorrente linea tedesca sulla privacy.
Il manager è stato giudicato colpevole in un processo in Italia nel 2016 e il tribunale gli aveva inflitto una pena di 9 anni e 8 mesi di carcere. Il tribunale regionale di Essen ha poi commutato il verdetto di colpevolezza in una condanna a 5 anni di carcere in Germania, pena massima tedesca per questo reato.
Dopo il tentativo di ricorso del condannato, la Corte costituzionale tedesca ha stabilito a maggio che il ricorso non fosse accettabile contro le modalità del processo in Italia e che, inoltre, la colpevolezza del manager sia evidente. Da quel momento, il passaggio successivo è diventata l'apertura delle porte del carcere.
"Non siamo contenti. Mettiamo la parola fine a questa sentenza che non ci soddisfa per niente". E' il commento di Rosina Platì, madre di Giuseppe Demasi, uno dei sette operai morti nel rogo. "Non siamo contenti - ribadisce -. In confronto a quello che volevamo, anzi che meritavano, non è nulla. Quello che mi dà ancora più fastidio è che questo poco lo abbiamo raggiunto noi, con tutte le lotte che abbiamo fatto. Se qualcuno ci avesse aiutati, magari saremmo riusciti a ottenere qualcosa di più".