BOTTE E ABUSI

Torino, a sette anni chiama la polizia: "Il papà picchia la mamma" e per l'uomo scatta il divieto d'avvicinamento

Il marito ora è libero, la donna in una sistemazione di fortuna. Le violenze andavano avanti da dieci anni. La moglie non poteva uscire se non con il compagno ed era controllata a vista da suocera e cognata

21 Mar 2025 - 12:56
 © agenzia

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A sette anni chiama la polizia per dire agli agenti che "papà sta picchiando la mamma, venite". Il caso avviene a Torino e a raccontarlo alla "Stampa" è una volontaria in contatto con il piccolo, una donna che dice di non aver mai sospettato nulla della terribile situazione che si viveva quotidianamente in quella famiglia. Nessuno sapeva nulla, né tra le maestre del bambino, né all'oratorio. "Ho telefonato il bimbo per caso - spiega la volontaria - e lui mi ha detto che non poteva stare al telefono: stava per arrivare la polizia perché il padre picchiava la madre".

Violenze e stupri in casa da dieci anni

 La donna riprende: "A sentire quelle parole sono rimasta sconvolta. La mamma non mi aveva mai detto niente". Eppure le violenze, botte e stupri, andavano avanti da una decina d'anni, per lei che ora ne ha trenta. Gli avvocati della donna, Stefania Agagliate e Silvia Bregliano, hanno trovato per lei una sistemazione di fortuna, perché un luogo protetto per lei, a cinque mesi dalla denuncia, non c'è, mentre l'uomo è libero. La denuncia, con l'intervento delle forze dell'ordine, risale allo scorso ottobre. 

Divieto di avvicinamento e braccialetto elettronico

 La gip Paola Odilia Meroni ha ordinato per l'indagato, accusato di maltrattamenti e di lesioni aggravati, il divieto di avvicinamento a meno di mille metri dalla donna e dai figli, il divieto di comunicazioni e il braccialetto elettronico. Il bimbo, primo figlio e maschio e per questo con il permesso di andare a scuola e di imparare l'italiano, nato a Torino, ha accompagnato lui stesso in Pronto soccorso la madre, egiziana, dopo l'arrivo della polizia.

Casa-prigione

 Quando la donna rimaneva incinta veniva costretta dall'uomo ad abortire se il feto era femmina, perché "le femmine portano solo guai". La moglie non poteva uscire di casa se non in compagnia del marito ed era controllata a vista dalla suocera e dalla cognata. Inoltre lei era costretta ad accettare le relazioni del marito con altre donne, secondo quanto si legge in uno degli atti giudiziari: "Di fatto lui esercitava una facoltà consentita dall'Islam, di sciogliere il vincolo davanti a Dio ma senza formalizzare il divorzio, anzi, minacciando lei di non farlo e costringendola a stare con lui". 

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