Il controllo in una ditta a Campi Bisenzio dopo la denuncia di alcuni pakistani: trovati sei lavoratori in nero. Licenziati gli operai che chiedevano 8 ore. I titolari ai colleghi: non prendeteli
© Ansa
Cinque lavoratori pakistani si sono rifiutati di effettuare turni di 12 ore e di lavorare il Lunedì dopo Pasqua: l'azienda interessata, che si trova a Campi Bisenzio (Firenze), è stata quindi sospesa in seguito a un controllo degli ispettori del Lavoro e dei carabinieri del capoluogo. Nei locali della ditta sono stati inoltre trovati, intenti alle macchine da cucire e alle macchine stiratrici, su tredici addetti, sei in nero, tutti di nazionalità cinese. Le verifiche sono scattate dopo che la ditta avrebbe licenziato, secondo la denuncia di un'organizzazione sindacale, gli operai che chiedevano turni come da contratto nazionale.
12 ore al giorno senza ferie né diritti - I Cobas avevano protestato contro i titolari per le condizioni degli operai nello stabilimento che, dopo anni di lavoro con turni da "12 ore al giorno, senza riposo né ferie né malattie pagate né diritti, il giorno di Pasquetta si sono rifiutati di andare al lavoro". Il titolare ha deciso di licenziarli tutti con un messaggio WhatsApp: "Chi non lavora oggi (Pasquetta) è fuori per sempre".
"Vogliamo lavorare 8 ore al giorno" - Gli stessi operai avevano chiesto, dicono ancora i Cobas, "di lavorare anche loro 8 ore per 5 giorni come fanno sempre più operai, grazie agli scioperi di questi anni, nel distretto. La risposta è arrivata anche in questo caso via WhatsApp: 'se volete lavorare 8 ore, trovate lavoro da un'altra parte'".
La gogna in chat - Dopo il licenziamento inoltre, i titolari della ditta hanno diffuso su WeChat un video con i volti dei lavoratori che "hanno osato richiedere di lavorare 8 ore e le ferie. L'invito è agli altri imprenditori a non assumerli in altre fabbriche, ad ennesima riprova di un sistema di sfruttamento diventato la normalità. Una vera e propria black-list".
"Vengono in fabbrica a creare problemi" - I Cobas precisano che il contenuto del messaggio diffuso in chat dice: "Questi pakistani si rifiutano di lavorare duramente nelle fabbriche e vengono in fabbrica a creare problemi. Spero che i miei colleghi cinesi non chiedano a queste persone di lavorare in fabbrica". Al centro di questa squallida vicenda cinque operai di una confezione tessile di via Carcerina, una ditta di cui è "impossibile dire il nome - precisano i Cobas -. Negli anni diversi nomi e partite Iva hanno nascosto sempre lo stesso padrone. La vecchia storia dell'apri, chiudi e riapri, per aggirare fisco e diritti".
Il controllo e i lavoratori irregolari - Durante il controllo in cui sono stati trovati sei addetti su tredici in nero: due dei lavoratori trovati in attività, precisano all'Ispettorato del lavoro, erano in possesso del solo passaporto e privi di titolo valido per svolgere un’attività sul territorio italiano. Per altri due è stata prodotta documentazione sulla procedura di emersione per lavoro domestico, avviata da un datore di lavoro diverso da quello ispezionato.
Tessile e sfruttamento - Nello stesso stabilimento, continuano i Cobas, "ci sono oggi lavoratori formalmente dipendenti di ditte diverse: la Feng Shouqing e la Hu Qingong" ma "i contratti sono carta straccia: c'è chi lavora da tre anni a tempo determinato, part time a 20 o 30 ore settimanali. Nella realtà le ore settimanali sono 84, pagate mille euro. Che nei mesi di calo lavoro diventano 500 euro a parità e di ore e in quelli di picco 1.300 euro. E i diritti del Contratto collettivo nazionale di lavoro sono sulla carta. Non è Bangladesh, è Campi Bisenzio, provincia di Firenze, dove si estende il distretto pratese del tessile e il suo supersfruttamento".
Ti potrebbe interessare anche: