il fidanzato resta in carcere

Tredicenne morta a Piacenza, medico legale: segni di colpi sulle mani di Aurora

Secondo gli inquirenti il fidanzato 15enne, che resta in carcere, dopo averla spinta dal balcone le avrebbe inferto dei colpi sugli arti quando lei si sarebbe aggrappata alla ringhiera per salvarsi

31 Ott 2024 - 16:17
 © Ansa

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Le ipotesi degli inquirenti sulla morte di Aurora, la tredicenne deceduta dopo essere precipitata dal settimo piano del palazzo dove viveva a Piacenza, trovano conferma. Dai primi accertamenti medico legali sul corpo della ragazzina sono emersi segni sulle mani compatibili con i colpi che il fidanzato le avrebbe dato quando lei, nel disperato tentativo di salvarsi, si sarebbe aggrappata alla ringhiera dopo essere stata spinta. E' questo uno degli elementi, sommato alle testimonianze, che hanno portato gli investigatori e la Procura per i minori a convincersi della responsabilità del 15enne, fermato lunedì per omicidio. Non risulta invece che il ragazzo abbia utilizzato il cacciavite che aveva con sé per aggredirla.

Il 15enne resta in carcere

 Il Tribunale per i minorenni di Bologna ha convalidato oggi, 31 ottobre, il fermo del 15enne. Confermata anche la misura cautelare: il ragazzino resta quindi in carcere, dove si trova da lunedì. L'udienza di convalida si era tenuta il 30 ottobre e poi il giudice del Tribunale minorile si era riservato la decisione. Il 15enne, aveva spiegato il suo avvocato, Ettore Maini, al termine dell'udienza, "ha risposto alle domande", ma non ha voluto aggiungere altro né spiegare il tenore o il contenuto delle dichiarazioni del suo assistito.

Tre le testimonianze che hanno aiutato i carabinieri

 Sono tre le persone che con le loro testimonianze hanno aiutato i carabinieri a ricostruire cosa è successo venerdì mattina ad Aurora. I tre testimoni avrebbero assistito ad almeno una parte della drammatica scena e successivamente si sono presentati in caserma. Tra questi c'è anche la persona che ha descritto più nel dettaglio d'aver visto il ragazzino spingere la 13enne oltre la ringhiera e colpirla alle mani, per farla cadere. I tre non si conoscono tra loro e il fatto che le versioni siano almeno in parte concordanti ha contribuito ad avvalorarne la veridicità agli occhi degli investigatori.

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