Per i giudici il dipendente di Trenitalia è "inflessibile ed estremamente puntiglioso" ma tutte le infrazioni, dicono le sentenze, sono state compiute senza "finalità di lucro né in mala fede contro l'azienda"
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Era il 'terrore' dei furbetti del biglietto in treno: migliaia di contravvenzioni in pochi anni, senza nessun cedimento. Alla fine anche Trenitalia non ne poteva più e l'aveva licenziato, ma adesso è tornato perché i giudici della Cassazione hanno deciso che, in fondo, faceva solo il proprio dovere, seppur in modo "estremamente puntiglioso". "E' la fine di un incubo - commenta dopo la sentenza - i passeggeri mi adorano perché i "furbetti" sono una minima parte".
Francesco Bonanno, 61 anni, origini siciliane e veneziano (di Jesolo) d'adozione, è il capotreno che nel gennaio del 2017 fu licenziato "per giusta causa" da Trenitalia che gli contestava di aver compiuto 175 errori nell'emissione dei titoli di viaggio destinati ad altrettanti passeggeri che aveva sorpreso a viaggiare sprovvisti di biglietto oppure con un ticket non timbrato o non corretto per quella tratta. Lui ha fatto causa all'azienda spiegando ai giudici che quelle infrazioni rappresentavano il 3,5% delle migliaia di multe che aveva fatto in quegli ultimi due anni. Un record.
Tutti i tribunali gli hanno dato ragione e nei giorni scorsi la Cassazione ha chiuso il caso annullando il licenziamento. Nelle sentenze i giudici lo descrivono come un controllore di "zelo non comune, inflessibile ed estremamente puntiglioso nell'elevare contravvenzioni" ma tutte le infrazioni, dicono i togati, sono state compiute senza "finalità esclusive di lucro né in mala fede contro l'azienda".
Bonanno da un paio d'anni (dopo che anche la corte d'Appello di Venezia gli aveva dato ragione) è tornato al suo posto. "È la fine di un incubo - racconta al Corriere della sera - Fin dall'inizio il giudice del lavoro mi aveva dato ragione e l'azienda mi aveva reintegrato senza riassumermi: sono rimasto a casa per un anno e mezzo percependo lo stipendio senza lavorare. Per me non era una questione di soldi: volevo tornare a indossare la mia divisa".
Sempre dedito al lavoro, il capotreno spiega che non è affatto spietato, anzi. "Non sono un cacciatore di taglie, ma sul lavoro ci vuole rigore, devo impegnarmi affinché tutti i passeggeri viaggino con regolare biglietto. Non sono mai autoritario né prepotente, è una questione di civiltà e i passeggeri mi adorano. I "furbetti" sono una minima parte. La quasi totalità degli italiani paga il biglietto e mal sopporta l'idea che ci sia chi gode dello stesso servizio senza sborsare un soldo".