Vittima di una banda di criminali

Truffe affettive, "Ho perso la testa per un soldato conosciuto online, ma non esisteva e ci ho rimesso 200mila euro"

Sylvie, 60 anni, milanese, racconta a Tgcom24 la sua storia: "Per fare fronte ai debiti dovrò vendere la mia casa"

di Tamara Ferrari
01 Set 2023 - 10:25
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© Tgcom24  | I dollari con il timbro delle Nazioni Unite: secondo i truffatori andavano "smacchiati".
© Tgcom24  | I dollari con il timbro delle Nazioni Unite: secondo i truffatori andavano "smacchiati".
© Tgcom24  | I dollari con il timbro delle Nazioni Unite: secondo i truffatori andavano "smacchiati".

© Tgcom24 | I dollari con il timbro delle Nazioni Unite: secondo i truffatori andavano "smacchiati".

© Tgcom24 | I dollari con il timbro delle Nazioni Unite: secondo i truffatori andavano "smacchiati".

“Volevo solo aiutare l'uomo del quale mi ero innamorata online. Sono finita nelle mani di una banda di criminali dediti alle truffe affettive. Mi hanno plagiata, spaventata, e continuano a minacciarmi tuttora. Ho perso 200mila euro e, per far fronte ai debiti, ho dovuto mettere in vendita la mia casa”. Sylvie, 60 anni, è funzionaria in un aeroporto del Nord Italia. Una donna colta, intelligente, con alle spalle un matrimonio e tanti viaggi in giro per il mondo.

Il primo messaggio sui social

 “Non avevo mai sentito parlare di queste truffe”, dice Sylvie, “ho ricevuto su Messenger il messaggio di uno sconosciuto di nome Eric. Diceva di essere un soldato americano in servizio in Siria. Non ho risposto subito, perché non lo conoscevo. Circa due mesi dopo riapro la chat di Facebook, quel messaggio era ancora lì. Mossa dalla curiosità, ho risposto”.

Dopo qualche giorno, probabilmente il tempo di studiare il profilo e la vita di Sylvie, il finto Eric si rifà vivo. “Mi ha scritto che si trovava a Idlib, una delle zone più pericolose della Siria. E' iniziata una corrispondenza sempre più fitta. Mi ha raccontato di essere rimasto orfano da piccolo, adottato da una famiglia, vedovo, solo al mondo. Che era stanco del lavoro in Siria, voleva andare via e, magari, conoscere una donna con la quale trascorrere il resto della vita”.

Un profilo che sembra vero

 Sylvie va a curiosare sul profilo Facebook del finto Eric. “C'erano le sue foto in divisa”, racconta, “ma anche alcune dove lo si vedeva in un garage, dedito a dipingere un mobiletto. Oppure mentre lavava la macchina. Insomma, sembrava tutto vero”. 

Dopo un po', Eric le chiede di continuare le loro conversazioni su WhatsApp. I truffatori lo fanno sempre. “Ci scrivevamo anche tre, quattro volte al giorno”, racconta Sylvie, “capiva i miei sentimenti, i miei stati d'animo. Aveva le mie stesse passioni, le mie stesse idee. C'era una sintonia che non mi era mai capitata con gli altri uomini. Mi faceva stare bene”.

Il plagio

 Sylvie non se ne rende conto, ma a poco a poco sviluppa una dipendenza affettiva. Inizia l'operazione di plagio e, quando i truffatori capiscono che è ormai caduta nella rete, cominciano le richieste di denaro. “La situazione precipita”, racconta Sylvie, “Eric mi dice che gli è stato chiesto di partecipare a una missione particolarmente pericolosa. Ha paura, vuole scappare dalla Siria, ma ha bisogno del mio aiuto. Racconta che, tempo prima, dopo uno scontro con i ribelli dell'Isis, aveva trovato una valigia piena di dollari su un camion abbandonato. E' riuscito a farla arrivare a Istanbul e ora si trova in un magazzino doganale delle Nazioni Unite. 'Devi recuperarla', mi scrive, 'con tutto quel denaro potremo vivere una vita felice'. Io sono come ipnotizzata, credo a tutto quello che scrive. Inoltre, il finto Eric mi mette in contatto con la direttrice della ditta che gestisce quel magazzino, la quale mi invia il tracking della spedizione”. 

Una ditta finta

  Sylvie fa un rapido controllo su Internet: scopre che il sito della presunta ditta esiste veramente e c'è anche la foto della signora con la quale Eric l'ha messa in contatto. Il tracking number del bagaglio sembra veritiero. Questo perché i truffatori organizzano tutto nel modo più realistico possibile. Così, quando dalla finta ditta le chiedono 4.700 euro per sbloccare la spedizione, lei paga.

“In cuor mio sapevo che c'era qualcosa che non andava”, racconta Sylvie, “ma Eric era molto convincente. Mi ha promesso che mi avrebbe restituito quei soldi. Da quel momento in poi, è stato un continuo chiedere denaro per il rilascio di certificati vari necessari per lo sblocco della valigia: documenti antiterrorismo, certificazioni per evitare che venisse aperta e ispezionata, e così via. Per ogni bonifico fatto, mi veniva rilasciata regolare fattura e mi veniva inviato il certificato per il quale avevo pagato, così da farmi credere che fosse tutto vero. Ero tra due fuochi: da un lato Eric che mi supplicava di aiutarlo e dall'altro i responsabili di questa ditta che chiedevano in continuazione soldi”. 

La valigia piena di soldi

 Finché, finalmente, la valigia non arriva in Italia. A questo punto Sylvie chiede alla finta ditta che le venga consegnata. “Mi danno appuntamento alla stazione di Aversa. Qui due persone di colore mi mostrano una valigia piena di dollari. Però, c’è un problema: le banconote hanno tutte un timbro delle Nazioni Unite. Uno dei due uomini ne prende due e con l’utilizzo di un liquido le smacchia e me le consegna. Mi dice che quel liquido costa tanto, mi chiede i soldi per comprarlo. Smacchieranno tutte le banconote e poi me le faranno recapitare a casa”.

200 dollari veri

 Sylvie porta in banca le due banconote da 100 dollari che le hanno consegnato i truffatori. Allo sportello le accettano: sono soldi veri. Plagiata com'è, non le viene il dubbio che queste due banconote siano solo un amo per farle credere che tutti i soldi sono veri. Intanto, Eric la supplica di anticipare il denaro per pagare il liquido per smacchiare tutte le banconote. “Mi fanno fare un ordine a una ditta austriaca. Anche in questo caso trovo il sito e mi viene inviata la fattura. Ma per un motivo o per l’altro il liquido non arriva e devo dare altri soldi”.

A un certo punto i truffatori le fanno credere che sia necessario acquistare la macchina per smacchiare le banconote. Sylvie, che ormai non è più in sé, consegna migliaia di euro in soldi contanti. “Il fatto è che queste persone avevano anche cominciato a instillarmi la paura che, qualora le forze dell’ordine avessero trovato la valigia, io avrei potuto passare dei guai, dal momento che su tutti i documenti di trasporto c’era il mio nome", racconta, "pur di far fronte alle spese ho anche chiesto due prestiti”.

Il vero soldato

 Sylvie ormai è disperata: non ha più soldi. Facendo una ricerca sui social network, si imbatte nel profilo di un militare americano che vive negli Usa e le cui foto sono le stesse del finto Eric. “Scrivo a questo signore", racconta, "mi risponde che è a conoscenza che le sue foto sono state rubate da una banda di truffatori online. Mi consiglia di andare subito a sporgere denuncia”. A questo punto capisce di essere stata truffata e contatta l’associazione Acta, che aiuta le vittime di truffe affettive. “Mi sentivo stupida, mi vergognavo”, dice, “ho denunciato tutto alle forze dell’ordine, fornendo la documentazione in mio possesso. Purtroppo, non rivedrò più i miei soldi. Spero che almeno questi delinquenti vengano arrestati”.

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