Fotogallery - Giulia Cecchettin, i funerali nella basilica di Santa Giustina a Padova
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Dopo gli incontri col terapeuta, cinque in tutto e prenotati da lui stesso al Cup, lo stato psicologico del 22enne non era però migliorato
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Filippo Turetta aveva raccontato a uno psicologo, da fine settembre, delle angosce che gli aveva procurato l'abbandono da parte di Giulia Cecchettin, e anche dei problemi di studio nel suo percorso universitario. Ma dopo questi incontri, cinque in tutto, il suo stato psicologico non era migliorato. E quando avrebbe dovuto presentarsi all'ultima visita, il 17 novembre, il 22enne era già latitante, dopo l'assassinio dell'ex fidanzata. Filippo, pare su sollecitazione della stessa Giulia e dei familiari, aveva chiamato lui stesso il Cup dell'Usl 6 di Padova per prenotare i colloqui col terapeuta.
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Il 17 novembre Turetta era già latitante da una settimana, con la polizia di mezza Europa alle calcagna. Una fuga di mille chilometri, da Fossò (Venezia) a Lipsia sulla sua Fiat Punto nera, ancora in custodia della polizia tedesca e che tornerà in Italia a disposizione delle autorità entro metà dicembre.
A quel punto le indagini potrebbero vedere un balzo in avanti. Perché sull'auto del 22enne sono stati trovati il coltello, con una lama di 12 centimetri che si ritiene sia l'arma usata per l'omicidio, oltre ad altri elementi - i sacchetti di nylon neri, uguali a quelli trovati accanto al corpo della studentessa, e il nastro adesivo - che potrebbero aver peso se l'accusa deciderà di contestare la premeditazione. Gli investigatori potranno inoltre analizzare il telefono rinvenuto nella vettura, che potrebbe essere quello di Giulia. Resta in calendario anche un incontro tra carabinieri e le forze dell'ordine tedesche e austriache, per una ricostruzione puntuale dell'itinerario seguito da Turetta nella fuga dall'Italia.
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Nel frattempo escono altre conferme sul pensiero "tossico" che guidava Filippo nelle ultime fasi del rapporto con l'ex fidanzata. Nei messaggi che inviava prima della scomparsa di Giulia, il giovane faceva continua pressione sulla sorella di lei, Elena, perché la convincesse a rispondergli. "Ciao scusa, puoi far accendere il telefono alla Giulia e farglielo lasciare acceso?", scriveva a Turetta. E quando poi Elena rispondeva con un secco "no", aggiungeva: "Perché?! Non è giusto, non può non cagarmi per tutte 'ste ore. Mi aveva promesso ieri che mi scriveva durante la giornata. Dille almeno che le ho scritto".
Filippo Turetta è rinchiuso nella sezione infermeria del carcere veronese di Montorio (Verona), controllato per prevenire il rischio di gesti autolesionistici. La Procura di Venezia non prevede per ora nuovi interrogatori. La perizia psichiatrica - se verrà chiesta al gup, o nel corso del dibattimento - è un'arma che la difesa valuterà più avanti. In ipotesi, la difesa potrebbe chiedere al giudice una perizia per stabilire lo stato mentale dell'imputato al momento della commissione del fatto. Questo per comprendere se l'attuazione del reato sia stata condizionata o meno da una condizione psicopatologica, o da una seppur parziale incapacità di intendere e di volere nel momento del fatto. Dettaglio che potrebbe aprire la strada alle attenuanti, per evitare la pena massima dell'ergastolo.
Delle parole sul "difficile perdono" dette dal papà di Giulia, Gino Cecchettin, parleranno forse i genitori di Filippo, Nicola ed Elisabetta, quando torneranno a incontrare il figlio in carcere. Il parroco di Torreglia, don Franco Marin, uno delle poche persone in contatto con i Turetta, ha spiegato che i genitori hanno provato grande rammarico per non aver potuto partecipare, causa l'enorme pressione mediatica, ai funerali della ragazza. Quanto alla riflessione del padre di Giulia sul perdono e la citazione evangelica, il sacerdote ha detto: "Non farei l'esegesi delle parole di Gino Cecchettin sul perdono. Sul passo di Gesù e i suoi carnefici: io ho colto il 'cuore' di quel messaggio, la necessità della compassione, di patire con chi sta patendo".