una nuova sentenza

Venezia, "non ha i requisiti per profugo, ma può restare in Italia perché integrato"

Il tribunale ha accolto il ricorso di un giovane maliano sul riconoscimento della protezione internazionale: "E' ben inserito, il rimpatrio sarebbe un danno sproporzionato alla sua vita privata"

14 Mag 2019 - 14:43
 © ansa

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"Ha dato prova di una perfetta padronanza della lingua italiana e per ciò stesso di una seria capacità d’inserimento", quindi potrà restare in Italia anche se non ha i requisiti per ottenere lo status di rifugiato. E' quanto deciso dal tribunale di Venezia che ha accolto il ricorso di un ragazzo del Mali che nel 2017 si era visto respingere dalla commissione territoriale di Verona la richiesta di riconoscimento della protezione internazionale. "Il rimpatrio - spiega il giudice - sarebbe un danno sproporzionato alla sua vita privata".

Una sentenza che allarga l'accesso alla protezione internazionale anche a chi, appunto, non rientra nella condizione di rifugiato politico. Il giudice, infatti, "esclude che il ricorrente sia oggetto di persecuzione per razza, religione o appartenenza a un determinato gruppo sociale" e aggiunge che "né in altro modo le circostanze fanno emergere la sussistenza di un danno grave in caso di rientro in Mali, cioè un rischio verosimile di essere sottoposto a pena capitale o a trattamenti inumani o degradanti". Ma, al tempo stesso, il maliano "ha dimostrato di essere occupato a tempo pieno in molteplici attività lavorative, dalla vigilanza al lavoro in ristorazione e in agricoltura, di aver frequentato e concluso la scuola secondaria, oltre allo svolgimento di volontariato e di essere in procinto di acquisire la patente". Elementi che impediscono l'allontanamento del giovane.

Il giudice cita la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, quando "assicura una tutela sia alla vita familiare che alla vita privata, la cui nozione comprende l’integrità fisica e morale della persona e può includere numerosi aspetti dell’identità di un individuo, tra cui quello relativo a una vita lavorativa legalmente avviata". Insomma, cacciandolo dall’Italia e costringendolo a rientrare in Mali, "incontrerebbe non solo le difficoltà tipiche di un nuovo radicamento territoriale, ma si troverebbe in una condizione di specifica estrema vulnerabilità idonea a compromettere la sua possibilità di esercitare i diritti fondamentali, legati anche solo alle scelte quotidiane. Vulnerabilità, quindi, sufficiente a fargli ottenere il permesso di soggiorno.

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