A Tgcom24 parla Mario (nome di fantasia), che presto farà degli incontri nelle scuole per sensibilizzare i ragazzi: "Spero mi ascoltino, il lockdown è stato deleterio"
di Giorgia Argiolas© ansa
È diventata una vera e propria piaga sociale quella delle baby gang. Mario (nome di fantasia) ha sperimentato il dramma della situazione in veste di genitore. Infatti, gli è caduto il mondo addosso quando ha scoperto che sua figlia, una ragazzina di 14 anni che vive a Verona, era a capo di una banda formata da una decina di ragazze tra i 13 e i 16 anni. Furti, risse, rapine, bullismo nei confronti dei coetanei. "Prima ho ricevuto telefonate da alcune mamme che mi dicevano che mia figlia aveva aggredito le loro, poi la denuncia dei carabinieri per un furto. Ho raccontato la sua storia su diversi media locali e nazionali e l'ho fermata. Ora la mia missione è aiutare a sconfiggere il bullismo", dichiara Mario a Tgcom24. Nell'ambito di una campagna di sensibilizzazione, l'uomo terrà degli incontri nelle scuole. "Quella delle baby gang è una questione di vigliaccheria, spero che i ragazzi ascoltino i miei consigli", ripete.
Come ha capito che sua figlia faceva parte di una baby gang?
Dai suoi comportamenti fuori dall'ordinario.
Un cambiamento improvviso?
No, è stato abbastanza graduale. Ha iniziato a comportarsi in modo strano un anno fa, poi ho avuto la conferma quando mi hanno chiamato alcune mamme dicendomi che lei e altre ragazze avevano aggredito le figlie. Dopodiché, è stata denunciata dai carabinieri perché ha commesso un furto insieme ad altri cinque ragazzi.
Come ha reagito? Cosa ha fatto?
Sono caduto dalle nuvole, non conoscevo la problematica e non sapevo come reagire. Ho iniziato a "indagare" per capire come fosse la situazione e ho scoperto delle cose molto spiacevoli.
Come si è rapportato invece con sua figlia?
Ho cercato di parlarle e di farle capire che stava sbagliando. Ma davanti a me avevo un muro. Appena usciti dai carabinieri dopo l’episodio del furto, in macchina rideva. Io sono rimasto di stucco. Le dicevo: "Vabbè, ridi, ma ti rendi conto di quello che hai fatto?". Ho poi scoperto che mentre eravamo in caserma pubblicava foto su Instagram. Successivamente, io e la mia ex moglie l'abbiamo portata da uno psicologo.
La terapia ha aiutato?
È andata una volta sola, poi si è rifiutata. Siamo andati io e la mia ex moglie per cercare di capire come aiutarla.
Perché ha scelto di rendere pubblica la sua storia?
Per fermare mia figlia. Ho cercato di avere più visibilità possibile denunciandola su diversi media per farle capire che stava sbagliando e per portare questa problematica a livello nazionale. Fino a qualche mese fa c'era un totale menefreghismo in merito, ora meno, ma non è abbastanza. Le istituzioni devono fare di più, intervenire subito. Il problema c'è da anni. Perché non si è cercato di evitarlo già prima? La prevenzione è meglio della cura. Non c’è più tempo. Bisognerebbe inoltre lavorare sui genitori, perché nessuno è perfetto. Dei corsi potrebbero aiutare.
Rendere la questione pubblica è servito?
Sì, ho fermato mia figlia. Le amiche le frequenta sempre, ma si sono calmate tutte anche grazie all'attenzione mediatica che ha avuto la vicenda.
Ora com'è il vostro rapporto?
Non mi parlava fino a un mese fa. Adesso stiamo cercando di riavvicinarci. Spero che un giorno capirà che quello che ho fatto è stato per il suo bene.
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Come intende portare avanti la sua lotta contro il fenomeno delle baby gang?
Ho creato un'associazione: Parent's gang. Voglio che questo fenomeno sia sconfitto. Ormai è una missione. E voglio portarla a termine.
A proposito, lei farà degli incontri con gli studenti nelle scuole…
Sì. Non sono un professore, uno psicologo o un poliziotto - che sicuramente sanno meglio di me cosa dire e fare - ma un papà. Cercherò di instaurare con i ragazzi un rapporto di simpatia, rendendoli partecipi. Spero che ascoltino i miei consigli e li mettano in pratica. Quella delle baby gang è una questione di vigliaccheria: i ragazzi si fanno forza l'uno con l'altro, ma in modo sbagliato. Se si avesse lo stesso atteggiamento in maniera positiva, e quindi stando accanto ai ragazzi bullizzati, gli aggressivi probabilmente si scoraggerebbero e magari si fermerebbero. Sono i giovani stessi gli artefici della propria salvezza.
Secondo lei il lockdown ha peggiorato il fenomeno?
Facendo una valutazione generale, gli adulti riescono meglio ad affrontare un isolamento come quello che abbiamo vissuto. I ragazzi devono stare in mezzo ai loro coetanei, andare a scuola, fare una partita a calcetto, a pallavolo, vedersi in piazzetta. Vivere la gioventù, insomma. Gli adolescenti hanno vissuto il lockdown talmente male che appena sono usciti fuori dalle proprie case hanno fatto macelli. Per quanto riguarda mia figlia, ad esempio, l'isolamento ha dato inizio a tutto. Inoltre, durante quel periodo, i giovani hanno usato ancora di più i social, i quali non hanno regolamentazioni.