Il processo a Bossetti è durato oltre un anno, la prova regina dell'accusa è il Dna
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È attesa per oggi la sentenza a carico di Massimo Bossetti, il muratore di Mapello accusato di aver ucciso la tredicenne Yara Gambirasio e di averne occultato il cadavere, rinvenuto solo dopo tre mesi dalla scomparsa della giovane.
Sono passati quasi sei anni da quel 26 novembre del 2010, quando Yara scomparve, inghiottita nel buio a poche centinaia di metri da casa sua, mentre rientrava dalla palestra di Brembate di Sopra dove si allenava.
Oggi si avrà una prima risposta giudiziaria a una vicenda in cui si sono susseguite l'angoscia di non avere sue notizie, la disperazione di averla trovata uccisa, tre mesi dopo e la speranza dei genitori Fulvio e Maura di avere giustizia, con la scoperta del presunto colpevole.
È quel Massimo Bossetti, muratore di 45 anni, sposato e padre di tre figli, per il quale, dopo due anni di carcere e uno di processo, il pm Letizia Ruggeri ha chiesto l'ergastolo e sei mesi d’isolamento diurno.
Bossetti che, prima che i giudici si riuniscano in camera di consiglio per emettere la sentenza, rilascerà dichiarazioni spontanee. "Parlerà con il cuore", assicurano i suoi legali, e tornerà a proclamare la sua innocenza. Quella in cui non crede il pm Ruggeri, secondo cui dall'imputato sarebbe “venuto un tripudio di menzogne".
Oltre alla "prova genetica", in altre parole al dna, che rappresenta "il faro dell'inchiesta", trovato sul corpo della vittima, per il pm, vi è "un corollario significativo" di indizi caratterizzati da "gravità, precisione e concordanza".
I tabulati telefonici dell'imputato e le immagini dell'autocarro ripreso dalle telecamere di sorveglianza della zona, le fibre sul cadavere compatibili con quelle dei sedili del Fiat Daily del muratore. "Elementi che vanno letti complessivamente" e che, secondo la Pubblica Accusa, dimostrano come non si cercò “di cucire addosso degli elementi”, ma vennero cercati “riscontri in quello che già c'era".
Parole respinte con sdegno dai difensori di Bossetti, Claudio Salvagni e Paolo Camporini, che parlano di un "processo in cui sono di più le anomalie dei marcatori" del Dna, test che "non ha fugato i dubbi, anzi, li ha alimentati".
Per la difesa, delle prove a carico del muratore rimane soltanto "metà Dna e forse anche contaminato", perché "mai il signor Bossetti è potuto intervenire durante gli accertamenti e non possiamo accontentarci di un atto di fede". Non solo. Il collegio difensivo sostiene che non è suo il furgone ripreso dalle telecamere di sorveglianza delle aziende di Brembate vicine al centro sportivo da cui scomparve Yara.
Inoltre, qualora il veicolo fosse di Bossetti, il muratore, quel 26 novembre del 2010, sarebbe passato un quarto d'ora prima rispetto a quando un testimone, che era andato a prendere il figlio dalla ginnastica, vide la tredicenne che si dirigeva verso la porta della palestra.
Una "tortura", questo il termine usato dagli avvocati Salvagni e Camporini per descrivere “l'odissea giudiziaria” del loro assistito, in carcere del 16 giugno del 2014.
Oggi il verdetto del collegio presieduto da Antonella Bertoja che le telecamere non potranno mostrare per ragioni di tutela dei giudici popolari. Nelle scorse settimane due buste con dei proiettili erano state intercettate in un centro di smistamento postale: erano indirizzate alla Corte.