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Un progetto di ristorazione che è diventato un’icona dell’eccellenza gastronomica milanese nel mondo
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Varcando la soglia di Sant Ambroeus Milano si è pervasi subito da un’atmosfera intima e accogliente: la tradizionale ospitalità italiana si fa sentire. La proposta culinaria del ristorante è un omaggio ai grandi classici italiani che strizzano l’occhio all’internazionalità. Nel menù la pasta fresca che sa di casa come gli stracci al ragù di cinghiale e porcini e gli iconici comfort food come gli spaghetti al pomodoro o la costoletta milanese con riso al salto e ossobuco. Non mancano poi elementi creativi e piatti d’oltreoceano come la Cesare Cardini salad, il gigantesco burger, per arrivare fino ai mari freddi del New England con il lobster roll.
La cucina di Sant Ambroeus racconta un viaggio che parte da Milano per arrivare a New York negli Anni ’80 e ritornare “a casa” forti di una storia di successo. Iacopo Falai (direttore culinario del gruppo Sant Ambroeus) definisce la filosofia del brand complex simplicity: la migliore materia prima possibile, l’autenticità dei sapori, la semplicità sprigionata dalla qualità.
Lo chef armonizza gli ingredienti, meticolosamente abbinati, per creare profili aromatici che ritroviamo nella nostra memoria collettiva gastronomica. Autenticità, gusto, rispetto, memoria e cura, creatività sono le parole chiave dell’offerta gastronomica che guarda con rispetto alla storia della cucina italiana e alla grande varietà di ingredienti che il nostro Paese vanta.
“E’ un menu – anche se sarebbe più corretto parlarne al plurale poiché abbiamo delle variazioni tra pranzo e cena - incentrato sulla valorizzazione delle materie prime e delle radici gastronomiche del nostro territorio che, inevitabilmente, si intreccia anche con la mia storia personale: è un viaggio alla scoperta tra l’Italia e l’America, in cui s’incontrano gestualità, gusto e creatività. Memoria e modernità” afferma Iacopo Falai.
Ma come si costruisce un brand capace di rappresentare oltreoceano l’espressione autentica della cucina italiana?
Lo abbiamo chiesto proprio a Iacopo, che supervisiona i menu dei ristoranti italiani del Gruppo SA Hospitality a New York e negli Stati Uniti, tra cui Casa Lever, Sant Ambroeus e Felice.
Salve Iacopo, ci dà una definizione di SA?
SA è espressione autentica del saper vivere milanese, accoglie gli ospiti con un’esperienza in grado di combinare il carattere tenace dell’America, la tradizionale ospitalità italiana e la storia di Milano. Sant Ambroeus è ristorante, pasticceria e caffè, un punto fermo, anche culturale, nel cuore della città e per la città.
Ma come ama dire spesso Gherardo Guarducci, Founder ed Executive Chairman del gruppo, è espressione di quanto raccolto durante anni di duro lavoro nel settore hospitality negli Stati Uniti. Un’esperienza in grado di combinare il carattere tenace dell’America, la tradizionale ospitalità italiana e la storia di Milano.
Cosa è cambiato dopo il Covid nel mondo della ristorazione?
Penso sia cambiato il modo in cui le persone si approcciano alla ristorazione.
Certamente c’è stato un grosso input al delivery e, al tempo stesso, la voglia di tornare a cucinare in casa.
Quindi al ristorante si va per stare bene, per fare un’esperienza da più punti di vista: culinario, di servizio e anche di contatto con le persone.
Fondamentalmente sono cambiate le modalità di approccio alla ristorazione: frequenza differente nell’uscire per andare al ristorante. Il cliente vuole la flessibilità, la possibilità di pranzare in fasce orarie più allargate e di usufruire di un menu più ampio e diversificato.
Orari più ampi e nuove tipologie ristorative in grado di soddisfare le esigenze del cliente per tutto il giorno, andando verso un modello più internazionale.
In questo contesto investire nel rapporto con il cliente diventa ancora più importante di prima. L’abilità sta nel valorizzare l’esperienza degli avventori, puntando sulla qualità del servizio e dei prodotti. E ricordarsi che, ogni crisi e difficoltà, rappresenta un’occasione per migliorarsi e crescere.
Ci sono dei piatti segnature che non escono mai dalla carta?
Sicuramente la Cotoletta alla milanese e l’ossobuco con riso al salto, il lobster roll e il nostro hamburger, ma anche le fettucine alla bolognese. Sono i piatti entrati in carta sin da subito e che riscuotono un successo quotidiano.
Ci sono nuove aperture all’orizzonte?
Abbiamo recentemente aperto due nuove location ad Aspen in Colorado, un coffee bar e un ristorante. Guardiamo sempre a nuove opportunità che sono in linea con il nostro brand e i nostri clienti.
Qual è la differenza tra un pubblico italiano e straniero?
Gli italiani sono legati a SA storicamente, abbiamo clienti che vengono da noi da sempre e per cui siamo il simbolo della storia della caffetteria e pasticceria di questa città.
Ora stanno apprezzando una nuova versione di SA, che valorizza la sua storicità e prevede la novità dell’offerta ristorativa ampia e varia per tutto il giorno. L’introduzione della cena è una bella novità per SA e stiamo facendo molto bene, anche grazie a partner d’eccellenza che valorizzano le nostre proposte del menu.
Gli stranieri sono incuriositi da un lato dalla storicità del brand e dall’altro, soprattutto gli americani, dalla curiosità di vedere SA nella formula tipica anche qui.
Tutti vogliono comunque vogliono comfort, eleganza, sapori e familiarità.
SA ha un’identità molto forte, definita e inconfondibile: ci racconta la “visione SA”, come è nata e come si è sviluppata?
Siamo partiti proprio da Milano, per evolvere negli Stati Uniti e tornare. È un ritorno a casa, arricchiti da un’esperienza newyorkese, di oltre 40 anni, in cui il Gruppo è cresciuto sempre custodendo il ricco patrimonio culinario del nostro Paese.
Per questo siamo felici di riportare alla luce una destinazione iconica, un punto di riferimento per il quartiere e per tutta la città.
La nostra filosofia di cucina è basata sulla valorizzazione delle materie prime e delle radici gastronomiche del nostro territorio che, inevitabilmente, si intreccia anche con la mia storia personale: è sempre una scoperta, un viaggio alla scoperta tra l’Italia e l’America, in cui s’incontrano gestualità, gusto e creatività.
Qual è il segreto per far diventare un progetto di ristorazione, un brand?
Rispetto per le proprie radici e per le materie prime
Contatto con il cliente, ascolto
Evoluzione e cambiamento.
Chi vorreste vedere seduto al vostro tavolo?
I nostri clienti: quelli abituali, quelli che vengono a trovarci spesso e che ci fanno sentire a casa come noi facciamo con loro… e tutti quelli che si approcciano a noi per la prima volta.
Ma se devo pensare a qualcuno che avrei voluto incontrare dico l’avvocato Agnelli per l’eleganza e la raffinatezza e Miles Davis per il suo essere stato visionario, genio musicale e mente creativa.
Parlando di Milano, quali sono i vantaggi e gli svantaggi del quadrilatero della moda?
Qui respiriamo davvero la Milano frenetica, in movimento e in costante evoluzione. La città proiettata al futuro e che contribuisce a creare il futuro del nostro Paese.
E possiamo quindi anche sperimentare una formula ristorativa completa, che ci permette di valorizzare la nostra offerta da mattina a sera, con menu diversi.
Qui in zona ci sono numerose attività ristorative di qualità e questo ci stimola certamente a fare sempre meglio. È tenere sempre alzata l’asticella e non potersi permettere di sbagliare, anche perché i clienti sono sempre più esigenti.
Il cibo è diventata la nuova moda...
È un trend dell’ultimo decennio, che io personalmente preferisco vedere come qualcosa di positivo. Vuol dire avere attenzione per ciò che mangiamo, per la qualità del cibo, per il rituale del cibo, dello stare insieme e del condividere.
Si dice che siamo quello che mangiamo, quindi è importante attenzionare il cibo, inteso nella sua forma più vera di cultura, di valorizzazione del prodotto e dei produttori che si prendono cura di quanto mettiamo nel piatto.
Di Indira Fassioni