Obiettivo: emozionare

Enoteca Pinchiorri: l’evoluzione silenziosa di un’icona

Lo storico tre stelle Michelin nel cuore di Firenze ha affrontato la sfida più complessa dopo 50 anni di storia: restare fedele a sé stesso

14 Apr 2025 - 05:00

C’è un modo silenzioso di innovare. Non ha l’urgenza delle dichiarazioni, non cerca il clamore. Si muove per sottrazione, per dettagli, per ascolto. “Qualche anno fa ci siamo guardati e ci siamo detti: cosa facciamo adesso?”, racconta lo chef Riccardo Monco, che guida la cucina dell'Enoteca Pinchiorri da oltre trent’anni. Una domanda che non nasce da una crisi, ma da una consapevolezza. “Sapevamo che il mondo stava cambiando, e che anche noi dovevamo cambiare, senza snaturarci. Così abbiamo deciso di concentrarci su ciò che conta davvero: il cliente, l’esperienza, la qualità assoluta”.

Enoteca Pinchiorri: l’evoluzione silenziosa di un’icona

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Dopo il periodo di chiusura imposto dalla pandemia, la ripartenza è stata segnata da un eccesso di entusiasmo. “All’inizio c’era euforia – spiega Monco – la gente voleva uscire, viaggiare, vivere esperienze. Ma adesso il fumo si è abbassato. Oggi torniamo a chiederci: cosa vogliamo davvero lasciare al cliente?”.
La risposta non sta solo nei piatti, ma nel gesto complessivo. “Emozionare è il nostro obiettivo. Se un cliente torna dopo vent’anni e si ricorda ancora di cosa ha mangiato, significa che abbiamo lasciato un segno. Se invece non si ricorda nulla, abbiamo fallito”.

La cucina dell’Enoteca è costruita su questa tensione continua tra memoria e movimento. Accanto ai piatti storici, richiesti da una clientela affezionata, si alternano percorsi più snelli, stagionali, in grado di raccontare il presente senza dimenticare il passato. Oggi la proposta si articola in diversi livelli: un menù à la carte, due degustazioni – di cui una interamente vegetale – e una serie di esperienze incentrate sul vino, pensate per chi desidera esplorare la cantina in profondità.

Abbiamo voluto rendere l’esperienza più accessibile, anche economicamente – continua Monco – per avvicinare nuovi clienti, sommelier, appassionati. E ha funzionato: abbiamo visto persone che non erano mai venute da noi, che si sono avvicinate con curiosità. Per noi è un segnale importante”.

La cantina dell’Enoteca è un patrimonio raro: oltre 80.000 bottiglie, con verticali storiche e selezioni costruite in decenni di relazioni con i produttori più importanti del mondo. Ma, anche qui, la forza non è solo nei numeri. “La differenza la fa il modo in cui proponiamo il vino – spiegano dalla sala – con abbinamenti costruiti su misura, anche al calice, per permettere a chiunque di vivere un’esperienza completa. A volte un cliente chiede di confrontare due annate rare, altre volte si affida a noi. Ogni servizio è una storia diversa”.

Questo approccio ha avuto effetti anche sulla composizione della clientela. “Nel 2018 gli italiani erano solo il 15% – racconta Monco – oggi siamo al 41%. È un segnale chiaro: l’Enoteca sta tornando a parlare anche al suo pubblico naturale. I trasporti più rapidi, l’aumento del turismo enogastronomico e la voglia di vivere esperienze di qualità anche in Italia hanno giocato un ruolo importante”.

Uno dei punti cardine della filosofia dell’Enoteca è la gestione della stagionalità. Non come dogma, ma come ascolto profondo del prodotto. “La natura ci guida – dice lo chef – non si può decidere a tavolino cosa mettere in carta. Se il fungo porcino è buono solo per una settimana, quella è la sua finestra. Poi basta. Non lo congeliamo, non lo ricicliamo. Ci vuole il coraggio di cambiare un piatto anche se piace molto, anche se è ‘pronto’. La cucina non è solo tecnica, ma coscienza del momento giusto”.
Questa attenzione ha portato anche a scelte audaci, come l’introduzione del menù vegetariano. “Non è un contentino – precisa Monco – è un modo per dimostrare che possiamo raccontare il nostro stile anche senza proteine animali. Non basta mettere due verdure insieme: ci dev’essere costruzione, tecnica, gusto. I clienti lo percepiscono”.

Gli ingredienti arrivano in gran parte da fornitori storici, scelti per qualità e per rapporto umano. “Abbiamo una rete solida, fatta di aziende agricole, piccoli produttori, allevatori. Sappiamo chi sono, come lavorano. Non compriamo da un catalogo, ma da persone. È questo che fa la differenza: dare un nome e un cognome a ciò che serviamo”.

Anche la sala riflette questo approccio. L’accoglienza resta formale, ma si è fatta più calda, più personale. “Non dobbiamo più nasconderci – ammette Monco – oggi siamo più esposti, dobbiamo essere coerenti in tutto quello che comunichiamo, dal tono con cui accogliamo il cliente alla cura del dettaglio. Ma è anche una grande opportunità”.

La cucina, la cantina, la sala: ogni elemento dell’Enoteca Pinchiorri è pensato per costruire un’esperienza che sia al tempo stesso elegante e intima, precisa e fluida, solida e aperta. “Oggi non serviamo più i piatti di cinquant’anni fa – conclude lo chef – ma portiamo avanti lo stesso spirito. Siamo attuali perché sappiamo ascoltare. Siamo radicati perché non rincorriamo le mode. E continuiamo a crescere, un servizio alla volta”.
 

Di Indira Fassioni

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