Il pluristellato scozzese racconta a Tgcom24 di quando voleva fare il calciatore, di come scoprì la pasta e l'amore per la cucina italiana. E quella volta a Parigi con Carlo Cracco...
di Domenico Catagnano© ufficio-stampa
Gordon Ramsay è reduce da una serata speciale. Con la fondazione che gestisce con la moglie Tana ha organizzato una cena di beneficenza per raccogliere fondi per un ospedale pediatrico londinese. La cornice è il Forte Village di Santa Margherita di Pula, con lui ai fornelli altri tre chef stellati, Carlo Cracco, Giuseppe Mancino ed Emanuele Scarello. Ramsay è di casa nel resort, che ospita uno dei suoi ristoranti, e la Sardegna è uno di quei posti in cui ama rilassarsi. Sereno, disteso, felice per la buona riuscita della serata, sembra lontano anni luce dall'immagine che si è costruito.
Mr. Ramsay, lei ci sta prendendo in giro: in televisione la vediamo spietato, rissoso e irascibile, qui al Forte ci è sembrato più morbido di un soufflé...
In realtà sono una persona molto passionale, e quando lavoro sono parecchio rigoroso. Nella mia cucina voglio solo la perfezione!
La performance con Cracco, Mancino e Scarello è stata in effetti impeccabile, con un bel gioco di squadra...
Buona visione d’insieme e disciplina in cucina sono indispensabili, e per disciplina intendo quella che hanno gli atleti. Serve anche un pizzico di egoismo per estrarre la parte migliore degli ingredienti con cui lavori. Un po' egoisti ma coordinati, come una squadra di nuoto sincronizzato.
Lei usa spesso metafore sportive, e nello sport poteva far carriera, visto che solo gli infortuni le hanno impedito di diventare un calciatore nei Glasgow Rangers. Il mondo ha perso una stella del pallone o ha guadagnato un grande chef stellato?
Il mondo ha perso un grandissimo calciatore scozzese (ride), ma la carriera in campo termina a 28 anni, mentre tra i fornelli io ho ancora tanto da dare. Però ricordo bene il momento in cui ho avuto un rimpianto.
Ci racconti...
Ero a Parigi nel 1998, anno del mondiale di calcio in Francia. Era appena iniziata Scozia–Brasile e c’è stato un momento in cui ho pensato che potevo essere lì a giocare anch'io. Neanche il tempo di accarezzare il mio sogno che il Brasile segna, e quel gol mi ha riportato coi piedi per terra.
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A proposito di Parigi, che ricordi ha degli anni sotto la Torre Eiffel?
Sono arrivato in Francia nel 1988, avevo 22 anni e nulla mi faceva paura. Trascorrevo le mie giornate girando tra i ristoranti, cercando di entrare nelle cucine, chiedendo di lavorare gratis solo per imparare. Ero affascinato dai piccoli mercati e dagli artigiani della cucina che lo popolavano. Ricordo un macellaio che affettava un fegato sottilissimo per strada, e guardarlo era un'esperienza incredibile.
C'è un momento in cui ha realizzato che sarebbe diventato uno chef?
Se penso a quando è avvenuta la mia "chiamata", (calling, la definisce proprio così, ndr) mi viene in mente quando lo chef di uno dei ristoranti nei quali ho lavorato a Parigi serviva a noi dello staff alle cinque e mezza del pomeriggio la cena con le stesse pietanze che avrebbe preparato la sera per i suoi clienti. Piatti deliziosi, e il momento più bello era quando ci versava un bicchiere di vino rosso e noi brindavamo prima di aprire il ristorante. Lì ho realizzato che non poteva esserci niente di meglio che lavorare in quel modo
Si ricorda qual è il primo piatto che ha cucinato che lo ha pienamente soddisfatto?
E' il cappuccino di fagioli bianchi con olio di tartufo, una spuma che presento come fosse appunto un cappuccino preparata anche con brodo di pollo o di prosciutto affumicato e funghi porcini grattuggiati. Il piatto risale al 1998, ma anche oggi è uno dei più richiesti.
Esiste il piatto perfetto?
Le racconto un'altra storia. Prima di aprire il mio primo ristorante sono stato chef in una barca privata. Ci eravamo fermati a Porto Cervo in un piccolo ristorante a gestione familiare e avevo assaggiato gli agnolotti della nonna (li chiama proprio così, in italiano, ndr) conditi con prosciutto e tartufo bianco in un brodo spettacolare. Quello è stato il momento in cui ho capito cosa ci volesse per fare il piatto perfetto. Ho comprato una piccola macchina per fare la pasta e, quando rimanevo solo in barca, tiravo sfoglie su sfoglie. Non mi sembrava vero poter realizzare piatti buonissimi con un aggeggio che mi era costato pochissimi soldi!
Quali sono gli odori della cucina della casa dove è cresciuto in Scozia che le sono rimasti addosso?
Bella domanda... (sospira, chiude gli occhi e si ferma qualche istante a pensare) Ricordo quello delle verdure grigliate, del soffritto nel quale si cuoceva la carne, l'odore del pane e quello delle cipolle affettate. Mi piaceva osservare mia madre mentre preparava l'arrosto nel suo buonissimo sughetto.
Lei ha "studiato" in Francia, ma c'è molta Italia nelle sue ricette...
I francesi hanno dominato la cucina classica, ma si sono seduti sugli allori e anche gli spagnoli li hanno superati. La cucina italiana invece è rimasta impeccabile nel tempo, anche grazie al suo approccio umile. Gualtiero Marchesi negli anni '90 era il migliore, era il re, e quando venivo in Italia io mi rifugiavo "Al Pescatore" a Verona, un ristorante dove trovavo sempre qualcosa da imparare, e non mancavo mai durante la vendemmia. Amo la vostra cucina, a Londra ho aperto un ristorante con uno staff composto da giovanissimi chef italiani
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Non mi faccia però credere che con gli chef italiani non c'è concorrenza...
Concorrenza? Fuck off concorrenza, c'è solo rispetto, ci guardiamo e ci osserviamo. Con molti italiani ci conosciamo da anni. Alla cena al Forte Village Carlo Cracco mi ha quasi commosso.
Cosa è successo?
Io e Carlo siamo coetanei, lo conosco dai tempi di Parigi. Prima che cominciassimo a cucinare mi ha mostrato una foto che ci ritraeva. Lo scatto risaliva al 1988 o giù di lì, eravamo nel ristorante dello chef giapponese dove lui lavorava. Avevamo entrambi 22 anni.
Da allora sono trascorsi quasi trent'anni, e molte cose sono cambiate nel vostro ambiente: gli chef sono diventati delle celebrità mondiali! Per Dostoevskij doveva essere la bellezza a salvare il mondo, non è che oggi ci può provare la cucina?
Non lo salverà, ma lo unirà. Non dobbiamo sottostimare l’importanza del cibo. A tavola si possono risolvere problemi che fino a pochi momenti prima sembravano insormontabili.