Il buon paese

Il Barolo: il vino dell’Unità d’Italia

18 Lug 2016 - 14:53
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Territorio di provenienza - Nel cuore delle Langhe, sui dolci pendii collinari tra Asti e Cuneo, si estendono i vigneti che hanno permesso al Piemonte di essere conosciuto in tutto il mondo per le sue eccellenze vitivinicole. Tra di esse il Barolo: il re delle cantine della zona. Il nome del vino è quello del comune di Barolo che, insieme ad altri dieci paesi, delimita la zona di produzione indicata dal disciplinare DOCG.


I terreni della zona di produzione del Barolo sono naturalmente votati alla realizzazione di questo grande vino. Da una parte la composizione, in parte argillosa, in parte calcarea che conferisce alle uve nebbiolo il bouquet di profumi e la longevità futura del vino, dall'altra la pendenza: i terreni devono essere necessariamente collinari e l'altitudine compresa, secondo il disciplinare, tra i 170 e i 540 metri sul livello del mare. Il Barolo, secondo la legge, deve invecchiare almeno tre anni e di questi due devono essere in botte di legno di rovere o di castagno.
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La lunga storia del Barolo - Quando Camillo Benso Conte di Cavour ordinò di piantare duecentomila viti di Nebbiolo sulle terre intorno al suo castello continuò un’impresa già iniziata secoli addietro. Infatti, i Greci portarono in Liguria i vigneti di Barolo e la coltivazione fu poi implementata dai Romani. Fu poi apprezzata dai Galli incuriositi dai famosi vini piemontesi. Fra di essi il re Sole, Luigi XIV, innamorato dei vini e dei formaggi della zona. Le civiltà che le Langhe hanno ospitato nel corso della storia hanno mantenuto lo spirito contadino e l’amore per il vino, frutto del Nebbiolo. Soltanto nell' '800 due grandi enologi (il generale Staglieno e il francese Odet) al servizio di Camillo Benso conte di Cavour, riuscirono a produrre quel vino unico, corposo e stabile che prese il nome dal paese di Barolo. Eppure il successo del Barolo si deve soprattutto a una donna, Giulia Colbert Falletti, ultima marchesa di Barolo che con la femminilità delle sinuose colline fece conoscere il pregiato vino presso la corte reale convincendo gli stessi sovrani a dedicarsi alla produzione vinicola nelle tenute di Verduno prima e Fontanafredda poi. Cavour non fu il primo a piantare Nebbiolo, ma ha i suoi meriti: negli affari diplomatici, nelle trattative e incontri con i grandi politici dell'epoca preunitaria non faceva mai mancare un calice di vino. È proprio quel vino, il Barolo, il simbolo dell'unità di Italia.

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Denominazione e consorzio: la tutela del Barolo - La qualità del vino Barolo necessita severità dei controlli e un grande impegno nella tutela. A questo scopo nel 1966 viene scritto il disciplinare con cui si sancisce l’origine controllata del Barolo. Il disciplinare del 1966 viene rimodificato per la prima volta nel 1980, quando viene conferita la denominazione di origine controllata e garantita (la DOCG). Già dall’inizio del '900 si respirava la necessità di promuovere la grandezza del vino e di difenderlo da frodi e da imitazioni controllandone la produzione e le caratteristiche: così nel 1934 nacque il consorzio di difesa dei vini tipici di pregio barolo e barbaresco. Oggi il consorzio ha preso il nome di "Consorzio Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Roero" e si è evoluto parallelamente alle tecniche di produzione, conservandone gli stessi obiettivi iniziali.

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Abbinamenti e ricette - Questo vino così ricco e intenso, si abbina perfettamente a piatti e prodotti con un carattere affine, con la stessa stoffa. Carni rosse, arrosti, brasati e anche formaggi molto stagionati sono suoi fedeli compagni. Il vino di Cavour è anche peculiare ingrediente di alcuni grandi piatti della tradizione piemontese, come il brasato al Barolo o il risotto al Barolo con noci e taleggio.

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