Il buon paese

Qualità e innovazione: il lusso del cannolo siciliano spalmabile

17 Dic 2015 - 12:05

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Mettete una vacanza in Sicilia. Mettete che al momento di ripartire abbiate voglia di portare a casa dei cannoli. Mettete anche che il trasporto di un vassoio non è sempre agevole, visto che è come si trattasse di cristalleria. E allora che si fa? Si rinuncia, a malincuore, a portarsi dietro il dolce souvenir?

Da un'esigenza semplice, un'idea altrettanto semplice, quella della Villa Reale di Sciacca (Ag), che ha "inventato" il cannolo spalmabile. Facile a dirsi, ma nessuno ci aveva mai pensato prima. E se ne sono accorti al Tuttofood di Milano dello scorso maggio, dove l'idea è stata premiata con l'Innovation Awards.

"In effetti è andata proprio così, dobbiamo ringraziare i clienti che ci vengono a trovare nel nostro stabilimento- racconta Paolo Licata, fondatore dell'azienda-. Parlando di dolci siciliani ci raccontavano di come fosse scomodo trasportare i cannoli in viaggio. Mi è scattata la scintilla: abbiamo riprodotto una crema di ricotta come quella del cannolo, abbiamo aggiunto un po' di cioccolato di Modica, scorze di limone e "sbriciolato" le tradizionali bucce. E abbiamo fatto centro".

Il cannolo spalmabile (più precisamente "Dolcezza ricotta e cioccolato", come da etichetta) è solo una delle ultime tappe del cammino della Campo d'Oro, l'azienda siciliana che produce la linea Villa Reale. Un percorso che merita di essere raccontato, perché sfata certi falsi miti sull'imprenditorialità nel Sud ma, purtroppo, ne conferma limiti e difficoltà.

"Ho cominciato nel 1988, a 18 anni, con le melenzane e le olive sottolio -racconta Licata-. Distribuivo i miei prodotti porta a porta, portavo le mie buatte (barattoli, ndr) nei ristoranti e nei locali col motorino. Le ricette erano la riproposizione di quello che mangiavo a casa di mia nonna da bambino. Cinque anni dopo, nel '93, ho registrato il marchio "Villa reale", allargato il mio giro ai negozi di gastronomia e iniziato a fare le prime fiere, in Italia e all'estero. Nel frattempo le conserve del catalogo erano diventate 25, tutte legate alla tradizione siciliana".

La svolta è stata proprio in quegli anni: "Ho puntato sulla qualità, con un prezzo leggermente più alto rispetto al prodotto di grande distribuzione. Allora parlare di qualità voleva dire fare una scommessa, non c'era a larga scala la sensibilità al mangiar bene che c'è oggi. Abbiamo preferito fare questa scelta, convinti che nell'immediato non avrebbe pagato, ma che alla lunga si sarebbe rivelata vincente"

Nel 2000 un altro salto. "Con un finanziamento abbiamo ampliato lo stabilimento e comprato nuovi macchinari che ci hanno permesso di produrre di più e meglio -ricorda Licata-. Abbiamo sperimentato nuove ricette grazie anche a due tecnologi alimentari, due figure entrate a far parte della nostra azienda. In pochi anni siamo arrivati a produrre 150 prodotti. Alle conserve sottolio e alle caponate abbiamo aggiunto le marmellate, le creme dolci e novità assolute come la crema tonno e arance, rielaborazione della vecchia insalata della tradizione siciliana, o la crema peperoni e mandorle, premiata in una fiera a Parigi. Per inciso, a chi ci chiede quali conservanti usiamo, la risposta è sempre la stessa: olio, sale e aceto".
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La storia della Campo d'Oro si è arricchita di un nuovo capitolo due anni fa. "Abbiamo creato una nuova linea, "Villa Reale Supreme", pensando a qualcosa di buono ma anche a una confezione che abbia una sua funzione decorativa all'interno della cucina -racconta ancora Licata-. E' un prodotto, curato nel packaging e nel design, ovviamente più caro, pensato anche come un regalo o addirittura come bombioniera".

L'idea è quella di unire la qualità alla bellezza. "Per la presentazione -svela l'imprenditore- ci siamo ispirati ale scatole di Cartier. Perché, abbiamo pensato, limitarsi a regalare una bottiglia di vino quando si può pensare anche a una bella confezione che valorizzi le cipolle di Giarratana, l'aglio rosso di Nubia, le mandorle di Noto e altre materie prime provenienti dai presidi Slow food siciliani? Ci siamo sbizzarriti, abbiamo iniziato a produrre le fragoline allo Champagne (recentemente premiate alla fiera alimentare Anuga con l'assegnazione del Global Competence in Food Italian Awards, ndr), il pesto di bottarga e ricci, un particolare sugo all'aragosta. Adesso abbiamo quattro linee per soddisfare quattro segmenti di consumatori".

E il mercato? "Facciamo il 65% del fatturato all'estero ed esportiamo in 35 Paesi. Vendiamo meglio negli Stati Uniti, dove a Chicago abbiamo un deposito con i nostri prodotti per servire velocemente i clienti, e in Germania. Sono in espansione le vendita in India, Giappone e Australia, ultimamente siamo arrivati anche a Hong Kong e alle Seychelles".

A parole sembra tutto facile, ma muoversi in una terra dalla mentalità imprenditoriale ancora acerba vale a dire misurarsi con difficoltà che altrove sono state superate da tempo. "In Sicilia c'è poca voglia di rischiare e di investire -dice sconsolato Licata-, si crede poco nelle proprie potenzialità. Manca la formazione, c'è poca voglia di collaborare gli uni con gli altri e ci si affida troppo ai soldi pubblici. Io sto provando a innovarmi di continuo rimanendo legato al territorio. E ho una fortuna, io "vendo Sicilia", che di fatto nella gastronomia è un marchio d'eccellenza nel mondo".

Però... "Però la burocrazia è allucinante, a Sud come a Nord. E poi paghiamo la posizione geografica, una serie di costi che altre aziende non hanno. Io, ad esempio compro i vasi di vetro e i tappi da industrie del Nord, e farli arrivare qui in Sicilia è già una spesa, una grossa spesa, che se fossi da un'altra parte non avrei".

Tutto ciò, però, diventa stimolo e non freno. "Il lavoro è duro ma non mi mancano le soddisfazioni. Quando ho cominciato lavoravano con me due persone. Nel 2000 erano in sei, oggi siamo arrivati a 18". In tempi di crisi, uno schiaffo per chi si piange addosso.

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