© Ufficio stampa | Gli Chef Antonio Guida e Quique Dacosta
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Cinque stelle del Mandarin Oriental di Milano, due di Antonio Guida e del suo Seta e le tre stelle Michelin di Quique Dacosta per un allineamento inedito e straordinario
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Cieli notturni nascosti all’interno delle grandi cucine; nel nostro bisogno di classificare l’eccellenza le volte ci si può trovare a vivere esperienze al limite del paradosso dove il numero delle stelle presenti nello stesso momento e nello stesso luogo è talmente alto da perdere di senso. E allora ci si arrende alla bellezza dell’alta cucina e ci si abbandona così, seduti nell’eleganza esclusiva di uno Chef Table con la stessa leggerezza di chi si stende su un prato in una notte d’estate, con la consapevolezza che l’unica cosa ad essere importante in quel momento non è il numero preciso di stelle a cui ci si trova davanti, bensì il messaggio che esse mandano quando si combinano tra di loro, e l’unica cosa che assume senso è di cercare di dare un nome a queste nuove, effimere, costellazioni.
L’oroscopo dell’alta cucina italiana ed internazionale ha visto il 28 giugno un allineamento inedito, con tre protagonisti talmente noti da formare da soli una galassia: da un lato le cinque stelle del Mandarin Oriental di Milano, dall’altro le due di Antonio Guida e del suo Seta che in questo grand hotel è saldamente incastonato, e per concludere le tre stelle Michelin di Quique Dacosta, leggendario chef spagnolo che tra le altre cose è anche Direttore Gastronomico del Mandarin Oriental Ritz di Madrid.
Una quattro mani che merita di essere inserita tra gli eventi da ricordare di quest’estate, che ha visto alternarsi piatti dei due chef in un perfetto concerto, con una riuscitissima concertazione tra gli elementi più distintivi della cucina dei due maestri, capaci di duettare senza perdere le proprie grandi identità da solisti.
Ad aprire le danze ci pensa il Resident Chef che propone la sua “terrina di vitello con barbabietola e canestrelli”, ennesima dimostrazione di come per Guida la parte vegetale sappia essere più che co-primaria, ma addirittura elemento caratterizzante di un piatto.
Il primo piatto dello spagnolo è il suo “Uovo Quique Dacosta Ritz”, sorprendente, capace di rimettere insieme i fili della tradizione contemporanea spagnola riportandola ad essere emozionante grazie a combinazioni di sapori che vanno oltre alla pura mimesi in favore di una sorpresa del palato che sorpassi quella degli occhi.
Ma quando tocca a Guida riprendere il timone, è facile rendersi conto che la capacità di sorprendere il palato è nelle corde di entrambi gli chef: i “carciofi con salsa alla curcuma, scarola alle spezie e banana” sarebbero un piatto completo già di per se, ma l’incredibile side dish con la banana gelata rimischia le carte che già sembravano determinate, rendendo l’insieme entusiasmante.
Si entra nel vivo della cena con le portate più complesse: la palla torna nelle mani di Dacosta che porta in tavola uno sei suoi piatti identitari, ovvero il “Gambas Amb Bleda”, Gambero rosso di Denia sbollentato in acqua di mare accompagnato da un infuso di bietole e teste di gamberi.
Al mare spagnolo risponde il mare italiano che lo chef ben conosce grazie alle sue lunghe esperienze in Costiera amalfitana e all’Argentario:“Lasagnetta con cipolla fondente, sgombro, cozze e ricci”. Non sappiamo se è vero che il pesce più fresco d’Italia lo si trova a Milano come recita il luogo comune, ma sicuramente il più saporito. Questo piatto infatti è sorprendentemente scevro di timore, con note decise e risolute, contrasti ben netti (finalmente la salicornia torna ad avere un ruolo degno), dimostrando che un grande chef può spingersi più in alto coi sapori, come in un crescendo rossiniano, senza temere stonature.
Questo piatto apre le danze per un’accellerata sull’intensità che vede alternarsi il “Rombo in salsa allo sherry” dalla Spagna e l’ ”Agnello al vadouvan con aglio nero, melanzana e fiore di zucchina” del Seta. Si chiude con un ultimo piatto di Quique, il suo “riso con fegato di colombaccio, spugnole, tartufo nero ed erbe”, ricco di sapori cinerei e selvatici, prima dei dolci: “zuppa di mandorla e petali bianchi” e il riuscitissimo “millefoglie vaniglia e verbena, ciliegie ai fiori di sambuco e gelato al pepe Timut”.
Nel vedere la pulizia dei movimenti dei due chef e della brigata del ristorante del Mandarin non si può non restare affascinati dalla perfetta intesa che a certi livelli si possa raggiungere: un incontro tra filosofie di cucina, ma anche tra uomini capaci di esprimere il proprio carattere attraverso l’arte. Una congiunzione astrale che sarebbe bello vedersi ripetere, magari in Spagna, cercando di ripetere il meraviglioso sogno di inseguire la luce di una cometa che resta meravigliosa ed irripetibile proprio perché così effimera.
Di Indira Fassioni