Percorsi Stellati

Anton Mosimann, lo chef col papillon

20 Dic 2016 - 12:37
 © ufficio-stampa

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“Nulla accade per caso” e “Passione per l'eccellenza” sono i motti nella cucina di Anton Mosimann, vero e proprio innovatore e rivoluzionario quando si parla di cibo. La sua arte gastronomica ha tre solidi princìpi: la bontà, ovviamente, l'assoluta freschezza degli ingredienti e i sapori decisi; ma anche parecchi segreti. Se ne sa solamente qualcuno: niente olio, burro o alcol, e poco sale e poco zucchero per esempio; perché questi ingredienti indubbiamente utili, hanno anche effetti negativi e, soprattutto, possono essere facilmente sostituiti (con yogurt naturale, per esempio, con formaggio bianco e tofu). Il risultato finale sono piatti dal gusto leggero, ma allo stesso tempo ben definito, piatti in cui i sapori, sempre naturali, non si sopraffanno mai a vicenda. Oltre alle sue creazioni, sono state la sua determinazione, la sua attenta pianificazione, la sua autodisciplina, energia, duro lavoro ed anche, ovviamente, una piccola dose di fortuna a portare Anton Mosimann nell'Olimpo degli stellati.

Lo chef, fra l'altro, può annoverare fra i suoi traguardi la preparazione del ricevimento di matrimonio del Principe William con la Duchessa di Cambridge Kate Middleton. Classe '47, lo chef preferito dalla casa reale inglese si è da pochi anni trasferito a vivere sul lungolago del Lago di Ginevra, ma viaggia ancora parecchio per preparare banchetti stellati, perché del resto l'arte culinaria dello "chef col papillon" sarà sempre apprezzata in tutto il mondo.

Qual è la prima cosa che fai la mattina quando ti alzi?
Non importa dove io sia, mi piace alzarmi e concedermi una sana corsa mattutina, sul tapis roulant. Quando sono a Londra, cammino per circa cinque minuti fino al “The Berkeley Hotel” che ha una palestra proprio all'ultimo piano e devo ammettere che la vista su Hyde Park, da lassù, è davvero mozzafiato. Quando invece sono a Montreux, vado al “Montreux Palace” la cui palestra s'affaccia direttamente sul Lago Lemano, che adoro.

Quando inizia la tua giornata tipo e quando finisce?
Devo ammettere che sono molto fortunato sotto questo punto di vista, perché non ho una giornata tipo, dal momento che entrambi i miei figli lavorano con me, e questo mi lascia tempo per poter viaggiare e cucinare in diverse città, oltre all'opportunità di tenere discorsi motivazionali in giro per l'Europa. Una cosa è certa, però: mi alzo sempre con tantissima voglia di fare. Come tutti gli chef, dovendo cucinare pranzo e cena, non ho una giornata breve, anzi, non arrivo mai a casa prima delle 22. Ma il mio corpo è allenato e soprattutto ho imparato il valore di un power nap: bastano anche solo un paio di minuti per sentire la differenza e sentirsi davvero riposati.

Un ingrediente di cui non puoi fare a meno?
Non ho dubbi: il basilico. Adoro il suo profumo.

Qual è il primo piatto che ti ricordi di aver cucinato?
I miei genitori erano proprietari di un ristorante, quindi la cucina ha fatto parte della mia vita dal giorno in cui sono nato. Credo che il primo piatto che ho cucinato non sia stato un vero piatto, ma piuttosto vari sughi per la pasta. Avevamo un orto dove coltivavamo tutti gli ingredienti necessari, quindi mi bastava uscire e raccogliere un po' di basilico, origano, dragoncello e prezzemolo per creare un sugo con pomodori freschi.

E quale ha avuto più successo?
Ovviamente dipende dalla persona a cui lo si chiede, ma se devo essere io a giudicare, credo sia la mia versione del “Bread and Butter Pudding”, un dessert in pieno stile british. Non passa nemmeno un giorno senza che qualcuno ci domandi di cucinarlo e addirittura l'ex Presidente della Casa Bianca Carter e la moglie ne vanno matti.

Descrivi la tua cucina in tre aggettivi.
Fresca, semplice, onesta.

Se fossi un film, che film saresti?
Non so di preciso che ruolo interpreterei, ma un film che ho sempre amato è “Il dottor Živago”. Lo vidi per la prima volta nel 1967 ed ebbi l'opportunità non solo di incontrare Omar Sharif, ma anche di cucinare per lui diverse volte. Un'esperienza incredibile.

Se fossi una canzone, che canzone saresti?
“Memory”, tratta dal musical “Cats” e cantata da Elaine Paige. Mi immagino nel quartiere Soho di Londra, circondato dai migliori ristoranti cinesi della città, intento a fare una scorpacciata di tutti gli avanzi: sarei senza dubbio il gatto più grasso. Ma anche il più felice!

Qual è il giudice che temi di più?

Mia moglie, ma devo ammettere che c'è un altro giudice davvero molto severo: mia nipote. Sa esattamente come vuole che il suo porridge mattutino sia preparato e non si fa problemi a correggermi.

Qual è il tuo ristorante preferito?
Sono tanti, a dire il vero. Ma mi piace molto il rituale del pranzo al ristorante ogni domenica, e credo che i dimsum siano il pasto familiare perfetto. Ogni domenica vado in un ristorante a conduzione familiare nel quartiere di South Kensington: c'è sempre un tavolo con il nome della mia famiglia. Mi trovo con i miei due figli e le loro famiglie e abbiamo così finalmente l'occasione di vederci senza sentirci obbligati a parlare di lavoro, ma anzi, il focus è tutto sui miei nipoti.

Qual è un tuo difetto?
Sono estremamente pignolo, metto (e pretendo) un'attenzione maniacale nei confronti di ogni dettaglio. Questo spesso fa distrarre chi lavora con me, ma allo stesso tempo credo fermamente che abbiamo una sola occasione per fare una buona prima impressione, quindi tutto deve essere perfetto.

E un tuo pregio?
Mi reputo un ottimo motivatore. Mi piace farlo e mi riesce bene, tant'è che molti giovani chef che hanno iniziato nella mia brigata hanno oggi raggiunto grandi risultati in tutto il mondo.

Cosa avresti fatto se non avessi fatto il cuoco?
Sono nato sul pavimento di una cucina, credo davvero che non ci sia nient'altro che avrei potuto fare: essere chef era il mio destino.

Di Indira Fassioni per nerospinto.it

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