© Ufficio stampa | Røst, Milano
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Un viaggio alla scoperta del gusto tra prodotti della tradizione italiana e lontane influenze scandinave
© Ufficio stampa | Røst, Milano
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In via Melzo 3, in quella che sta diventando la food street del quartiere di Porta Venezia a Milano, è arrivato Røst, nuovo bistrot che, tra lontane influenze scandinave e concretezza della tradizione italiana, porta in tavola e sulla scena milanese il concetto di cucina circolare, semplice, autentica, che riscopre i tagli dimenticati e mette al centro del racconto i produttori: di carne, di pesce, di verdura e di vino, per un’esperienza gastronomica di verità.
E che porta la firma di tre giovani appassionati: Hippolyte Vautrin, imprenditore del settore food già noto per il ristorante Kanpai, Enrico Murru, a cui è affidata la guida operativa, in sala così come nella definizione del peculiare mix tra cantina e cambusa, e la cuoca Lucia Gaspari, con la sua visione di cucina sostenibile, consapevole dei territori e delle persone.
Il loro ristorante è la storia di un viaggio e di una scoperta. Viaggio nel gusto e nei territori di produzione, per scoprire le storie di chi si dedica con passione a coltivare, allevare e produrre cibi, rispettando i tempi della natura.
Una storia che si poggia su tre pilastri: la cucina del Nord Italia, fondata su prodotti della tradizione e su un approccio alla materia senza intellettualismi, per una cucina non leziosa e libera da atteggiamenti culinari di maniera.
Una ricerca profonda nei territori locali, per trovare le eccellenze della terra e del mare e per instaurare un rapporto diretto con coltivatori, allevatori, e trasformatori; una carta dei vini e una dei vignaioli, perché il vino, artigianale e proveniente da agricoltura biologica e biodinamica, occupa un posto di rilievo da Røst, che vanta una carta di oltre 170 etichette e 12 vignaioli di cui è disponibile tutta la produzione. 60% italiani, 40% francesi e pochi eletti selezionati da altri paesi.
Il menu? Un mix di piatti della tradizione con gusti decisi, realizzati con delicatezza e pensati per tutti, dove regnano i vegetali da una parte e i tagli poveri dall’altra (dalle cervella al fegato, dalla lingua al diaframma, dal baccalà allo sgombro), con una presenza di pesce e carboidrati a fare da complemento.
La carta, che abolisce le categorie di ordine (antipasti, primi, secondi, contorni), prediligendo un racconto orizzontale tra piatti da condividere liberamente, cambia ovviamente in base alla disponibilità delle materie prime, aggiornandosi anche giorno per giorno, per valorizzare gli ingredienti disponibili ed evitare gli sprechi.
Tutto in un ambiente raccolto, intimo, dai toni caldi, dominati dal rosso “Marsala”, che rimanda al rapporto fondamentale con il vino e la terra, e dall’alternanza tra marmo, ottone, velluto e pelle, suddiviso in due spazi: la sala principale che gravita attorno al banco bar, e una di dimensioni più piccole che si affaccia sulla cucina, pensata per vivere l’intimità del rapporto con il cibo a vista di chi lo prepara, progettato dallo studio di architettura Vudafieri-Saverino Partners (quelli di Spica, Il Luogo di Aimo e Nadia, Peck CityLife, Ristorante Berton, Dry Milano).
Il nome? Unisce in un filo sottile il mondo scandinavo con quello veneto (Enrico Murru e Lucia Gaspari sono entrambi di origini venete, e Lucia si è formata anche a Copenaghen) e prende l’avvio dall’isoletta di 700 abitanti dediti alla pesca e alla lavorazione del merluzzo, che si trova nelle Lofoten, in Norvegia, e che custodisce il segreto del perché il baccalà sia diventato un piatto tipico veneziano.
La storia vuole che Pietro Querini, mercante, navigatore, nonché Senatore della Repubblica di Venezia nel XV secolo, nel 1431 salpò da Candia (Creta) verso le Fiandre con un carico di Malvasia, spezie, cotone, cera e altre mercanzie di valore, con un equipaggio di 68 uomini.
L’imbarcazione, però, sorpresa da ripetute tempeste, andò alla deriva per mesi, trasportata dalla Corrente del Golfo. Querini e 16 marinai superstiti toccarono finalmente terra nel gennaio 1432 nell'isola deserta di Sandøy, nell'arcipelago norvegese delle Lofoten, dove sopravvissero per undici giorni, fino a quando non furono avvistati dai pescatori della vicina isola di Røst, che andarono in loro soccorso, ospitandoli nelle proprie case per circa quattro mesi.
Fu durante questo periodo che Querini ebbe modo di scoprire i metodi di essicazione, conservazione e preparazione del merluzzo.
Nel maggio del 1432 ripartì alla volta di Venezia, dove importò l’idea dello stoccafisso, più comunemente chiamato baccalà, che riscosse subito grande consenso tra i veneziani. Gustoso, leggero e soprattutto a lunga conservazione, divenne un piatto classico, preparato con ricette che si tramandano da generazioni.
Di Indira Fassioni