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"Io sono un’arma", le memorie di un marine diventano un romanzo

Per la prima volta un soldato speciale confessa i suoi “omicidi autorizzati” e mostra la ferocia e la manipolazione dei giovani del corpo militare che più è entrato nell’immaginario collettivo

11 Nov 2014 - 17:10
 © ufficio-stampa

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È notte fonda quando il diciottenne David Tell scende dall'autobus che lo ha portato a Parris Island, la base militare dove avviene la prima, estenuante e selettiva fase dell'addestramento dei marines. Nientepoteva prepararlo a quello che lo aspettava: un addestramento massacrante, un incubo fatto di soprusi e vere e proprie torture. Per il corpo dei marines le reclute sono solo un mezzo, un'arma a disposizione. Entrato a far parte di una squadra per missioniimpossibili, la FastCo, David Tell è stato addestrato per obbedire agli ordini e uccidere senza pensare.

Nel suo romanzo, "Io sono un'arma" (Longanesi, 624 pagine, 19.90 euro), l'autore ed ex marine racconta come unuomo possa essere modellato a non temere, a non soffrire, a non provare empatia o pietà per nessuno, a svuotare la testa da ogni ricordo, per trasformarsi in biologia militare.

A diciotto anni ci si sente un patriota ed è facile farsi manipolare, ma il primouomo che si uccide rimane per sempre impresso nella memoria. Quando sei un ex marine è difficile tornare a vivere, staccarsi da quel mondo di sospetti e dolore e ricominciare a pensare con la propria testa, togliendosi dalla mente l'idea di essere un killer

Leggi in esclusiva il prologo del libro:

Osservo quelli che mi stanno intorno a bordo dell’elicottero. Abbiamo quasi tutti il medesimo aspetto. Tute da volo nere identiche, giubbetti antiproiettile neri, gilet tattici neri, maschere antigas con le lenti annerite, guanti da volo neri, pistole mitragliatrici H&K MP5 a tracolla, pistole 9mm in fondine a estrazione rapida e stivali da combattimento neri. Pur con ogni singolo centimetro di pelle coperto, vestiti nello stesso modo e senza poter vedere un solo volto, uno o due anni fa sarei stato perfettamente in grado di sapere chi era chi: solo dal modo in cui teneva l’arma, stava seduto, incurvava le spalle o da mille altri impercettibili dettagli. Oggi quei giorni sembrano così lontani. Gli altri membri della squadra d’assalto indossano mimetiche standard e sono equipaggiati con le armi e le dotazioni tipiche della fanteria. Anche se fossi in grado di vedere i loro volti, non conoscerei comunque i nomi. Il sergente del mio plotone è a bordo dell’elicottero e non so nemmeno il suo, di nome. A volte dimentico di quale plotone faccio parte, chi è chi, o addirittura dove siamo. Suppongo che in fin dei conti non abbia importanza. Nessuno di loro si augura che mi capiti qualcosa di brutto, ma al tempo stesso a nessuno importa davvero se le mie cervella finiscono sparse a terra. Non è nulla di personale: è così e basta. Per uno strano gioco del destino la persona che conosco meglio non è nemmeno un marine, ma è un ' calamaro », uno della Marina, un portaferiti con cui sono stato in missione insieme e con cui ho scambiato non più di cento parole in tutto. Il suo viso è quello che mi è più familiare. Magari sa come mi chiamo, magari no. Non saprei. E’ armato di pistola e ha gettato via il simbolo della Croce Rossa che lo identifica come non combattente. Nel posto in cui stiamo andando se ne fregano di quel simbolo o di ciò che rappresenta. Credo che da un punto di vista meramente professionale al portaferiti importi se le mie cervella finiscono per terra. Ciò lo rende il mio miglior amico a bordo dell’elicottero. Non so come si chiama. Mi trovo in questa squadra e in questo plotone da un paio di settimane soltanto. Sono ancora degli estranei per me, e io per loro. Si conoscono tutti bene e sono amici. Per cominciare a sentirci a nostro agio gli uni con gli altri ci vorrebbero mesi. Ancora di più per cominciare a pensare in termini di amicizia. Non li abbiamo tutti questi mesi, né mai li avremo. Il mio inserimento in questo plotone è talmente provvisorio che mi è stato detto di non prendermi nemmeno la briga di spostare i miei effetti personali in una camera nell’area del nuovo plotone. Alloggio con un plotone di cui facevo parte tre mesi fa e non sono nemmeno sicuro se nel frattempo ne ho già cambiati altri due oppure tre. Sappiamo tutti che probabilmente dopo questa missione verrò trasferito a un altro plotone. Sempre ammesso che sopravviva. Abbiamo circa venti minuti prima che, come si suol dire, la merda finisca nel ventilatore e la gente cominci a crepare. Il sergente artigliere e il sergente maggiore di Compagnia si sono presentati dal sergente e dal comandante di Plotone e nel corso di una ' sincera discussione » gli hanno comunicato che senza un po’ di esperienza aggiuntiva la loro squadra era troppo acerba per questa missione. Quindi hanno ' caldamente consigliato » di fare richiesta a livello di plotone perché io venissi trasferito presso di loro. Lo so perché il giorno prima della discussione il sergente artigliere e il sergente maggiore della compagnia mi avevano portato in un piccolo bar fuori dalla base. Laggiù mi avevano offerto un boccale di birra e chiesto se fossi disponibile a trasferirmi presso questo plotone per una missione. Non avevano fornito altri dettagli, né io li avevo chiesti. Con quei due avevo avuto molti altri incontri simili. Nonostante la differenza di grado in privato mi e` concesso di chiamarli ' Rick » e ' Dan ». Una simile richiesta era già di per sé una cortesia. Che l’avessero formulata prima di parlarne col comando del plotone ne raddoppiava il valore. Avrebbero potuto semplicemente trasferirmi. Per due anni avevo risposto ' sì » a richieste del genere e sapevano che avrei acconsentito. Sapevano anche che il secondo boccale di birra l’avrei offerto io. Sono consapevole che il plotone prova sentimenti contrastanti nei miei confronti. Al plotone non piace andare in missione con qualcuno con cui non si e` addestrato per un lungo periodo di tempo. Il plotone non può ammettere apertamente di non essere abbastanza rodato e di aver bisogno dell’aiuto di un esperto. I membri del plotone lo considerano un insulto al loro orgoglio professionale. Non gli e` stata detta la verità e pensano che la richiesta sia partita dai loro stessi ufficiali: se conoscessero il resto della storia mi odierebbero ancora di più. Al tempo stesso però sono anche contenti che io ci sia. So quello che dicono alle mie spalle. Sono considerato ' fortunato ', perché nonostante l'elevato numero di missioni sono ancora vivo. Durante le simulazioni ascoltavano le mie proposte e seguivano i miei consigli: nel giro è considerato segno di rispetto. Quelli seduti ai miei fianchi stanno scrupolosamente attenti a non toccarmi, nel modo più assoluto. Non mi hanno detto quello che provano. Ma dopo due anni e innumerevoli missioni con diversi plotoni, l'ho capito da un pezzo quello che provano. Lo so meglio di loro. Ci sono abituato. Ogni cosa dopo un po' può essere accettata come normale. Quello che provano non mi importa davvero, tra non molto verrò trasferito di nuovo. Poi non li vedrò più se non come visi vagamente familiari in giro per la caserma. Sono considerato un killer.

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