Nuova indagine per Giorgio Marro nel momento in cui il destino mette alla prova la sua famiglia
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Ognuno ha con il destino un appuntamento che non è in grado di dirottare. Quello di Giorgio Marro, brillante avvocato penalista, si è compiuto nel momento in cui un dramma ha colpito la sua famiglia in diversi modi, tutti disastrosi: il figlio piccolo ora in un’immagine sorridente da una lapide, il maggiore in sospensione tra un inganno di vita e la morte che se la prende comoda, sbeffeggia anche, la moglie in un delirio doloroso che l’ha indotta a scendere dal mondo, lui impaziente che si consumi la caduta interminabile e giunga il tonfo. Mentre annaspa tra limacciosi pensieri di distruzione, Giorgio intravede i bagliori di una battaglia che è disposto a combattere solo chi non ha più niente da perdere, solo chi, dopo aver vissuto con le spalle voltate a non vedere, può smettere di avere paura.
C’è la ’ndrangheta dietro la pressante richiesta di acquistare un suo terreno a picco sul mare dello Stretto, brullo e arso dal sole, e che non vale nulla; c’è la ’ndrangheta dietro la scomparsa di due malavitosi, padre e figlio, che lui è stato l’ultimo a vedere vivi, lassù nella proprietà contesa, e che immagina incappati nella lupara bianca; c’è la ’ndrangheta dietro le prepotenze per convincerlo a vendere. E da quelle parti la ’ndrangheta è zi’ Masi, un capobastone che non sa rinunciare all’antico, la ’ndrangheta sono i Survara, che hanno abbracciato la modernità delittuosa e le nefandezze a essa appiccicate. Marro indaga. Si spinge lontano, fino a disturbare l’avidità feroce, fino a restare ingabbiato nei contrasti tra le due ’ndrine, fino a impattare nella brutalità della violenza criminale, fino a stagliarsi ombra solitaria, lunga di un sole già basso.
Questa la trama di "Marzo per gli agnelli", l'ultimo romanzo di Mimmo Gangemi (Piemme, 304 pagine, euro 17,50), l’attesissimo ritorno in libreria dell’autore de "La signora di Ellis Island" e de "Il giudice meschino", diventato anche serie tv con Luca Zingaretti.
Leggi un estratto del libro:
Zi’ Masi ora pensava a Carmela, gli sarebbe mancata. E ai nipotini. Su tutti, quello lasciato a casa, il più affettuoso, il più amato. Lo rivide nell’atto di allungargli il pezzo di cioccolata «per il viaggio». Lo carezzò con la mente. E lo assalì prepotente il desiderio di chiudere l’esistenza con un segno di croce. Non poteva. Debolezze dell’animo che tra cristiani non ci si mostrava. Se la compose con il pensiero, lenta e solenne. E abbracciò in un unico ricordo i figli lontani. Poi tenne l’accetta a bilanciere sul palmo e la sporse verso Cicco, che l’aveva a sua volta. Per una sfida tra uomini. Cicco scosse la testa. «Ai nostri tempi verdi ci chiarivamo petto a petto», zi’ Masi, con un ghigno che sapeva di vittoria. «Ai nostri tempi verdi... Ora è tempo loro», Cicco, mostrando il figlio. Se n’era ferito. Ed ebbe fretta di sbrigarla. Sollevò il fucile. Vide zi’ Masi gonfiare il petto a offrirlo, disperdere nebulosi gli occhi, poi chiuderli, certo per imprimersi immagini da portare con sé. Attese che completasse gli addii e, appena zi’ Masi chinò la testa a dirsi pronto, sparò. Un unico colpo alla figura. Zi’ Masi rinculò e stramazzò senza un lamento tra le erbe alte che costeggiavano il sentiero. La morte gli concesse attimi per scorgere nel cielo del tardo pomeriggio una tenue nuvola bianca, isola nell’azzurro, uno stormo di passeri, le cime dei pini flettersi alla brezza. Davanti al velo degli occhi gli scorsero momenti già vissuti, ingialliti: il padre contratto nello sforzo d’aggiungere il suo peso e la sua forza per affondare di più l’aratro trascinato dalla pariglia di buoi mentre lui, ragazzino, correva appresso scalzo e festoso tra la polvere, la madre che tesseva di notte con un piccolo lume penzolante da una treccia, Carmela giovane, tra i fumenti della cucina a legna nell’atto di cacciarsi indietro, con un colpo stizzoso della mano, il ciuffo ribelle che sfuggiva alla pettinissa e le scendeva sul viso accaldato. Avvertì calore provenire dalla tasca dove Carmela aveva messo l’immaginetta della Madonna di Polsi. Gli riuscì di poggiarci sopra le dita. E avvertì l’ingombro del pezzo di cioccolata «per il viaggio». Sfumò lo sguardo e la vita sulla fotografia del saluto vissuto poco più di un’ora prima. Digrignò la bocca, tossì, vomitò un canale di sangue, altro gli sbavò in lento rivolo. E se ne andò. Cicco gli chiuse gli occhi spalancati a non vedere più niente.
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