Dal Kazakistan al Kirghizistan

"Nostalgistan", un viaggio negli "istan" dell'Asia centrale per le Vie della Seta

Dal Kazakistan al Kirghizistan. Tino Mantarro, giornalista del Touring Club, ci porta nelle ex Repubbliche sovietiche, mete decisamente lontane dalle "rotte" tradizionali dei turisti

di Massimo Spinosa
20 Mar 2019 - 16:34
 © ufficio-stampa

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Kazakistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan, Kirghizistan. In comune, oltre allo "stan" (suffisso di origine persiana che indica “luogo di”) c'è la collocazione che noi occidentali diamo a questi Paesi: a oriente, in un punto indefinito della nostra mappa mentale, sicuramente verso la Cina ma forse non troppo.... "Nostalgistan" (Ediciclo, pagg. 206, euro 15) di Tino Mantarro, giornalista del Touring Club Italiano, è un diario di viaggi nel cuore dell'Asia centrale, attraverso deserti, steppe, mercati e città cariche di storia, dove si incontrano personaggi indimenticabili, dai doganieri che vedono i turisti come bancomat ambulanti, ai mercanti o alle famiglie ospitali. Su tutti e tutto, incombono le macerie fisiche e morali della ex Unione Sovietica.

Non poteva mancare, quindi, l'incontro con la burocrazia, dal sapore kafkiano. Capita, dopo un'attraversata infinita di due giorni su un cargo azero sul Mar Caspio, da Baku ad Aktau porto e porta per l'Asia centrale, su una nave così lenta da non provocare onde, di attraccare alle otto di mattina e di ricevere il sospirato timbro sul passaporto alle cinque di sera. In un labirinto di uffici e fotocopiatrici con moduli da compilare.

Nelle pagine scorrono i nomi di Nukus, Ashgabat, la mitica Samarcanda, Osh, Almaty, Dushanbe la città dei poeti, località che richiamano le peripezie, in un passato lontano, di chi doveva percorrere le Vie della Seta e di chi, i moderni conducenti di Tir, trasportano oggi le merci. Le sorprese, poi. Si scopre che il mitico lago d'Aral, ad esempio, tanto lago non è: nel corso degli ultimi decenni si è letteralmente prosciugato. C'è un motivo: "Per spiegare il disastro dell'Aral torna utile il verso di un poeta uzbeko senza nome: 'Quando Dio ci amava ci mandò le acque dell'Amur Darya. Quando smise di amarci ci mandò gli ingegneri russi'. Quegli ingegneri che decisero che nel deserto sarebbe cresciuto cotone".

L'approccio ai luoghi e alle persone è sempre di massimo rispetto, consapevole che il "nostro" gusto sia diverso da quello locale e che villaggi o edifici decadenti possano avere, per fortuna ci fa capire l'autore, un loro fascino. Ci si perde nel caldo tra gli odori, buoni, cattivi, insopportabili, e i colori dei mercati, in un mix di popoli ed etnie, tagiki, tatari, russi, turchi, kirghisi, cinesi han.

In fondo perdersi potrebbe anche essere bello, perché "è una questione di metodo, e noi formalmente non ci siamo persi. Abbiamo solo ignorato quel che diceva il Gps per affidarci ai consigli di un pastore di cammello. Per l’Uzbekistan? Gli abbiamo chiesto. 'Na priama, sempre dritto', ha risposto sicuro. Perché lui e i suoi antenati sono secoli che attraversano senza perdersi il deserto sassoso del Mangistau, in Kazakistan".

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