Idea rivoluzionaria

"Uccidere il cancro", anche in Italia il libro-missione dell'oncologa Paterlini-Bréchot

La scienziata italo-francese sta rivoluzionando la lotta contro i tumori con metodi sperimentali per la diagnosi precoce e la prevenzione

20 Apr 2017 - 13:44

"La scoperta che racconto in questo libro acuisce la mia impazienza di uccidere il cancro. Lo devo a tutti i malati di cui ho incontrato lo sguardo, e ancor più a coloro che hanno dato a me che sono medico, straordinarie lezioni di coraggio e di saggezza". Queste le parole dell'oncologa Patrizia Paterlini-Bréchot tratte dal suo nuovo libro "Uccidere il cancro" (pagine 240, euro 17.90), best seller in Francia e disponibile in Italia edito da Mondadori.

L’idea rivoluzionaria della scienziata, docente di biologia cellulare e molecolare all’Università Paris-Descartes che ha dedicato la propria vita allo studio di metodi sperimentali per la diagnosi precoce e la prevenzione del tumore, ha dell’incredibile per la sua geniale semplicità: un esame del sangue che consenta di rilevare la presenza di cellule neoplastiche circolanti nell’organismo prima ancora che il tumore invasivo si sviluppi al punto da risultare "visibile" con una radiografia o una risonanza magnetica.

Troppo spesso, infatti, il cancro viene scoperto a uno stadio avanzato, quando ormai le metastasi hanno invaso più organi e la sorte del paziente è segnata. Ebbene, oggi l'idea di Paterlini-Bréchot è possibile grazie al test Iset, da lei brevettato, una tecnica in grado di diagnosticare il tumore invasivo con diversi anni di anticipo rispetto al manifestarsi della malattia. Un tempo che, nelle cure, può rivelarsi decisivo per ridurre drasticamente la mortalità.

In questa sincera autobiografia personale e scientifica, ricca di amore per la ricerca e di empatia con il dolore, l’autrice racconta il lungo cammino che l’ha portata alla sua invenzione e le ragioni profonde della sua scelta professionale, iniziando dal "paziente zero", la cui morte è stata la molla che le ha fatto dichiarare guerra al cancro. Con l’obiettivo di "arrivare alla fine dell’esistenza e guardarmi allo specchio sapendo che il mio lavoro ha contribuito a salvare tante vite".

L’autrice sarà a Bologna, ospite del Festival di Scienza Medica, sabato 22 aprile dove presenterà il libro con Pino Donghi alle ore 17, presso Palazzo Pepoli, Sala della Cultura. Domenica 23 aprile parteciperà al Festival Tempo di Libri di Milano. L’appuntamento è alle 11,30 alla Fiera di Rho (Sala Tahoma). Nel pomeriggio la Professoressa sarà a disposizione della stampa per interviste.

In esclusiva per i lettori di Tgcom24 un estratto del libro

Ho sempre pensato che siamo il miracolo transitorio di una
realtà eterna. Quello che detesto del cancro è la sua capacità
di denaturare dall’interno un tale miracolo, di togliergli
bellezza e dignità, più di ogni altra malattia e più di quanto
ogni altro «evento finale» della vita possa fare.

Questo suo carattere mostruoso mi si è manifestato quando,
giovane medico, invasa dal meraviglioso slancio e dal
fuoco sacro che mi spingeva a cercare di attenuare la sofferenza
dei pazienti, ho dovuto prendere atto della mia impotenza.
Il cancro ha mandato in pezzi il mio sogno di poter
salvare o almeno aiutare, o almeno alleviare le pene di
chi ne è colpito.

Eppure, nel corso degli anni, a chi come me ha dedicato
la vita a inseguire la terribile malattia, ad analizzarla, a
spiarla, a studiarne i minimi movimenti, è apparso chiaro
che il cancro non è in alcun modo quel mostro invincibile,
che emerge all’improvviso dal nulla, e che ha cercato
di stroncare, all’ inizio della mia carriera, il mio slancio.
La visione immaginativa che ho del cancro è quella di
un ubriaco. Un ubriaco traballante che pur non reggendosi
bene in piedi non smette di seguirci, che sparisce e poi
riappare, che cade, si rialza, ricade. Un ubriaco che ci insegue
a lungo solo, fino a quando altri ubriachi lo raggiungono.

E allora, anche se il primo ubriaco muore, anche se
altri ubriachi muoiono, con il passare del tempo, quelli che
restano fanno ressa dietro di noi e finiscono per formare un
gruppo sempre più numeroso ed eterogeneo, composto da
sbronzi più o meno in grado di sopravvivere, di camminare
senza cadere, più o meno robusti e più o meno capaci
di aggredirci.

E ancora, con il passare del tempo, per forza di cose, ce
ne sarà almeno uno abbastanza mostro, forte e cattivo da
colpirci alle spalle.

Oggi siamo in piena guerra contro il cancro e, per vincerla,
un unico fattore è determinante: il tempo. Il tempo trascorso
tra la comparsa nella nostra vita del primo ubriaco
e il momento in cui ne scopriamo la presenza, solo, o con
altri ubriachi, forti o deboli, che hanno raggiunto il primo.
Se riusciamo a intercettarlo con anni di anticipo, quando è
isolato o in compagnia di pochi complici ancora vacillanti,
le armi che abbiamo oggi a disposizione per sconfiggerlo,
la chirurgia, la radioterapia, le chemioterapie e altre terapie
mirate, applicate da sole o combinate a seconda dei
casi, bastano a eliminarlo definitivamente. Al suo insorgere,
infatti, il cancro è mostruoso sì, ma malato, informe e
fragile, a volte in stato comatoso.

Il cancro ci uccide perché gli lasciamo il tempo di farlo.
Forse un giorno riusciremo a mettere a punto dei trattamenti
in grado di eliminare tutti i diversi tipi di tumore,
anche quelli che scopriamo in stadio avanzato. Niente
è mai impossibile. Ma, come scienziata, devo dire che
non vedo ancora all’orizzonte nessuna pista concreta verso
tale soluzione.

Perciò, oggi, gli sforzi devono essere mirati, uniti e compatti,
per perfezionare e sviluppare pienamente i metodi
di diagnosi precoce.

Un giorno ho deciso che avrei dedicato la mia vita a mettere
fuori gioco un serial killer. Proprio perché l’ho visto agire
discreto, metodico e implacabile, ho capito che non esiste
altra soluzione se non quella di ucciderlo.

Uccidere il cancro! Facile a dirsi! Per fare la pelle a quest’assassino
seriale, occorre inseguirlo, spiarlo, comprenderne
le abitudini, conoscerne le mosse e le contromosse. Insom-
ma, occorre sapere tutto di lui, dal momento che, come tutti
i perversi, obbedisce a un funzionamento complesso, e sa
nascondersi o farsi dimenticare per ricomparire sotto una
falsa identità, sotto un nuovo aspetto con tratti modificati.
Così, mi sono comportata come un «detective». Non l’ho
più mollato. L’ho osservato per giorni, per ore, da vicino,
scrutandolo attraverso la lente del mio microscopio.

L’ho visto vincere battaglie spaventose, sotto i miei occhi.
Ha falciato vite che io, giovane medico, non sono riuscita
a salvare. Ha strappato al mio affetto alcuni amici. Ha
paralizzato di paura persone dotate di razionalità e coraggio.
Perché non solo si accanisce contro il corpo di uomini
e donne, ma ne disgrega anche l’anima.

E ciò dura da millenni. Malgrado i notevoli progressi
scientifici realizzati negli ultimi decenni, il cancro continua
la sua opera sterminatrice.

Nulla mi predestinava ad affrontarlo. Sono nata in una
tradizionale famiglia italiana. Sono cresciuta in un tranquillo
paese dell’Emilia-Romagna, nella Pianura Padana. Finito
il liceo, mi sono iscritta alla facoltà di medicina in un periodo
in cui sembrava molto difficile per una donna affrontare
la carriera di medico universitario. E in cui l’idea stessa
di conciliare un’attività professionale tanto intensa con la
vita famigliare sembrava insensata.

Ho vissuto momenti di dubbio e di scoraggiamento quando
l’orizzonte mi appariva incerto e le piste seguite per dar
la caccia al killer parevano sfociare in un vicolo cieco.
Eppure non potevo fermarmi. Una resa avrebbe distrutto
tutte le mie speranze, azzerato tutto ciò in cui ho sempre
creduto: il valore del lavoro, la forza dell’ostinazione,
la virtù dell’impegno.

Ho resistito. Non potevo non resistere. E ho trovato. La
strada era disseminata di ostacoli, perché la ricerca biomedica,
su scala internazionale, assomiglia talvolta a una competizione
in cui ogni colpo è permesso. E ora intravedo una
luce di speranza, sempre più viva. Sono convinta che la vittoria
è a portata di mano. Grazie all’équipe che ha lavorato
senza sosta al mio fianco, ai colleghi ricercatori che hanno
apprezzato i miei studi e hanno lavorato per verificarne la
validità. Grazie ai miei pazienti, che mi hanno dato la forza
di battermi, al mio Maestro, che mi ha mostrato la strada
da seguire. Grazie al progresso della scienza, che mi ha
fornito i mezzi, e alla provvidenza, che mi ha aiutato.

Dopo quasi dieci anni di pratica medica in contatto con i
pazienti, la perseveranza mi ha aperto la strada del laboratorio,
degli studi molecolari, della caccia alle cellule tumorali
che invadono il sangue. Ma non ho mai dimenticato la
missione, così appassionata e difficile, del confronto quotidiano
con il dolore dei malati. Esprimo dunque tutta la
mia stima e gratitudine ai medici, agli oncologi, a tutti coloro
che si battono giorno dopo giorno per i malati.

Voglio anche esprimere qui il grande rispetto e l’immensa
riconoscenza che porto ai miei colleghi ricercatori, ricercatori
clinici e clinici.


Copyright © Éditions Stock, 2017
© 2017 Mondadori Libri S.p.A., Milano
Titolo dell’opera originale

Tuer le cancer
I edizione aprile 2017

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