Se vi dicessimo che degli smartphone si parlava già nel 1960? Profezia o incredibile intuizione? Abbiamo intervistato l'autore Edoardo Poeta
di Olga Bibus© tgcom24
“I giornali del mattino saranno diffusi attraverso la rete telefonica. Grazie al ‘videofono’ si potranno leggere gli ultimi libri senza andare in biblioteca. E la gente si servirà del telefono anche per le operazioni di banca”. Queste parole sembrano descrivere alcune delle tante attività che quotidianamente facciamo con lo smartphone. Ma se vi dicessimo che sono state estrapolate da un articolo uscito sul quotidiano Trapani Nuova nel 1962? Sembra impossibile, eppure è tutto vero. Il perché lo spiega Edoardo Poeta, scrittore e giornalista, nel suo nuovo libro: “Il futuro è sempre esistito” (ed. Falsopiano, pag. 235) in libreria dal 15 settembre. Tgcom24 lo ha intervistato.
Edoardo com’è possibile che quasi 60 anni fa un settimanale siciliano pubblicava questo articolo dal titolo: “Nel 2000 i telefoni faranno tutto loro”? Sembra davvero descrivere il mondo in cui viviamo adesso...
In effetti a leggerlo oggi sembra che quell'articolo sia profetico. Tutto quello che c'è scritto si è realizzato: usiamo il cellulare per fare qualsiasi cosa dalle operazioni di banca allo shopping online ecc. E tutto questo è descritto nell'articolo. Io stesso quando l'ho letto per la prima volta sono rimasto esterrefatto. Ho pensato fosse una fake news. E' da lì che è partita la mia indagine. Pensavo di smascherare una bufala, invece...
Cosa hai scoperto?
Che non è una profezia, ma che è tutto vero. Lo smartphone non solo è stato "predetto" negli anni '60 con il nome di "videofono", ma in parte era stato già inventato. Anzi il videofono è contemporaneo al telefono. Non è un telefono portatile – anche se all’epoca si immaginavano telefonini multimediali – ma non ha avuto successo. Nella mia ricerca ho scoperto che in realtà ci sono tantissimi oggetti che usiamo oggi, ma che sono stati progettati già anni e anni fa. E' incredibile.
Per esempio?
Basti pensare che il primo Pc da tavolo è del '65. Alla fine degli anni '60 è stato progettato un possibile antenato del tablet; il primo orologio multitasking, quello che noi chiamiamo smartwatch, evoca una radiotrasmittente da polso che è stata realizzata da un italiano: un regalo per il presidente degli Stati Uniti Truman. Dopo aver letto l'articolo su Trapani Nuova ho iniziato a indagare, ho fatto sostanzialmente un viaggio nel passato alla ricerca del futuro come lo immaginavano allora e che si è trasformato nel nostro presente. Quello che è interessante è che alla fine tutto torna, nel mio libro scienza e tecnologia si mischiano con la fantasia in un puzzle perfetto. Man mano che andavo avanti mi sembrava incredibile come tutti i pezzetti si incastrassero alla perfezione. Le invenzioni si rincorrono: magari in un libro si parla di un nuovo uso di un determinato apparecchio e poi come per magia lo ritroviamo in un esposizione dell'epoca. Un cerchio che ho ricostruito durante il mio viaggio...
Dove ti ha portato questo viaggio?
Prima di tutto negli Stati Uniti: è qui che si inventa il futuro negli anni '60. Infatti l'articolo pubblicato dal settimanale siciliano si basa su previsioni di tre studiosi. Tutti e tre sono dipendenti della At&t, la più grande compagnia di comunicazione statunitense. All'epoca l'At&t era una sorta di fabbrica del futuro, è stata dunque questa società a realizzare per prima il videofono che era stato già immaginato prima ma mai lanciato commercialmente. Ma il mio libro non è un libro sull'antenato dello smartphone, prende spunto da questa invenzione per indagare poi la storia dei tanti apparecchi e piattaforme che usiamo oggi, ma che sono state ideate nel passato: dalle ricerche vocali ai social network.
Quindi gli Stati Uniti sono un po' la patria del futuro?
Decisamente sì, ma devo dire che gli italiani hanno dato un contributo importante. Per esempio il primo computer da tavolo è stato progettato da Olivetti e poi sviluppato negli Usa, ma sono tantissimi i precursori del futuro italiani. Sicuramente negli Stati Uniti era più facile trovare aziende disposte a mettere in pratica idee all'avanguardia grazie a un clima generale favorevole. La cultura del futuro nasce negli anni '30 come lenitivo alle difficoltà. Ed è un clima supportato dalle aziende. In America si tengono fiere ed esposizioni incentrate sulle tecnologie del domani. E' nella fiera di New York del 1964 che viene presentato il videofono. Nel libro faccio proprio questo: ripercorro la storia del futuro, un viaggio che dagli Stati Uniti mi porta in Italia perché non è un caso che quell'articolo così dettagliato sia uscito proprio su Trapani Nuova. Anche su altri giornali italiani sono usciti dei pezzi che parlavano di futuro, ma nessuno in modo così specifico.
Perché queste tecnologie, inventate così tanti anni fa, non hanno avuto successo all'epoca, ma sono state riscoperte da noi oggi?
Per tante ragioni, sicuramente erano oggetti troppo avanti per quei tempi e non sono stati capiti: la tecnologia ha i suoi tempi. Poi, i sistemi tecnologici per avere successo hanno bisogno di essere diffusi. Per esempio lo smartphone è diventato davvero un oggetto di massa quando le compagnie telefoniche hanno introdotto le ricaricabili. E' solo allora che il telefonino intelligente è diventato un oggetto alla portata di tutti e ha cambiato la vita di tutti noi.
Invece noi oggi come lo immaginiamo il futuro? Sarà possibile un domani fare un seguito del tuo libro?
Purtroppo no, oggi noi abbiamo perso la percezione del futuro, viviamo in uno stato di accelerazione permanente. Ciò che oggi è nuovo, domani è già vecchio. Negli anni '60 il futuro era il 2000, non è un caso se l'articolo su Trapani Nuova si intitoli proprio: "Nel 2000 i telefoni faranno tutto loro". Ma oggi noi non abbiamo un 2000. Questo ovviamente ha conseguenze dal punto di vista sociale. Negli articoli degli anni '60, nelle fiere gigantesche che venivano allestite negli Stati Uniti, nei libri si parlava delle invenzioni del futuro come qualcosa di miracoloso, qualcosa che avrebbe cambiato decisamente in meglio le nostre vite. Ma oggi che viviamo nel futuro come l'avevano immaginato è giusto porsi una domanda: queste tecnologie ci fanno davvero stare in pace?