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Fino al 25 febbraio oltre 130 opere in esposizione a Palazzo dei Diamanti
di Lorella Giudici© Ufficio stampa
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"Crebbe sotto il segno zodiacale della linea ferma e del colore deciso, da Cosmé Tura, dal Costa e dal Cossa fermato sulle mura per sempre luminose di Schifanoia”, annotava nel 1925 Margherita Sarfatti nella prima monografia dedicata ad Achille Funi, l'artista ferrarese che la sua città ricorda con una grande mostra, di oltre centotrenta opere, a Palazzo dei Diamanti (fino al 25 febbraio). La rassegna, nata da un'idea di Vittorio Sgarbi e con la curatela di Nicoletta Colombo (già autrice nel 1996 del catalogo generale dell'artista), di Serena Radaelli e di Chiara Vorrasi, ripercorre in quattordici sezioni la lunga carriera di uno dei protagonisti dell'arte italiana della prima metà del Novecento
A partire dalle prime prove giovanili e accademiche (con il piccolo Autoritratto inedito nel quale si raffigura quindicenne secondo i canoni di una robusta pittura realista) fino ciclo intitolato Il Mito di Ferrara, realizzato tra il 1934 e il 1937 nella Sala dell’Arengo del comune estense (con episodi tratti dalla Gerusalemme liberata e dall’Orlando furioso che rivestono totalmente la sala, dalle pareti al soffitto), passando dai capolavori degli anni Venti (come Maternità e La terra, entrambi del 1921), per arrivare alle opere appartenenti alle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara dove è conservato, tra gli altri, anche il dipinto intitolato Foro romano, esposto alla prima Quadriennale romana del 1931, la mostra non tralascia nessuna stagione creativa e ne mette in luce tutta l’autenticità.
Per Funi il passato è più vivo del presente e “la mitologia è più vera della storia”, diceva. Nelle sue opere mature, quelle in cui anticipa il Realismo magico e quelle in cui guarda ai canoni rinascimentali per tradurli in un moderno classicismo, mito e realtà si confondono. Uomini e donne, dai corpi solidi e ricolmi, hanno nei suoi lavori la nobiltà degli eroi e, per la legge del contrappasso, nei racconti mitologici e letterari che dipinge sulle tele o ad affresco trovano posto paesaggi e figure quotidiane, in una realtà visionaria e impenetrabile. "La pittura è un mistero - amava dire - […] Ci si è arrivati a poco a poco, per l’opera di generazioni, e adesso che ci siamo abituati non ci pare tanto, ma rimane sempre un fatto magico". Nel suo "costante andare verso la bellezza", ha attinto alla tradizione figurativa antica, ma ha anche guardato al linguaggio moderno di Cézanne, Picasso, Derain e de Chirico, ma senza mai dimenticare di essere se stesso.
Uomo di proverbiali silenzi e di vaste letture (“Un uomo senza cultura è un uomo morto”, diceva, lui che a nove anni aveva letto la bibbia già cinque volte), Funi è stato maestro a Brera e ai suoi studenti, accanto alle tecniche pittoriche e al disegno, insegnava che l’arte è prima di tutto conoscenza. Ad Achille Funi, maestro a Brera è dedicata la bella ed esaustiva monografia curata da Elena Pontiggia ed edita da Libri Scheiwiller e Accademia di Brera. Punto di arrivo di una pluriennale e approfondita ricerca su documenti, scritti e testimonianze, il volume approfondisce il suo lavoro di docente (viene nominato per chiara fama nel 1939), un incarico nel quale emerge subito “la capacità di Funi di formare personalità differenti, e non repliche di se stesso […] segno della sua efficacia di maestro".
Basterebbe ricordare che sono stati suoi allievi non solo i figurativi Adami e Mariani, ma artisti cinetici appartenenti al Gruppo T (Grazia Varisco, Davide Boriani, Valerio Anceschi, Gianni Colombo) e firmatari del manifesto spazialista come Crippa, Dova e Peverelli. Una carriera, quella a Brera, che lo ha visto anche nei panni di direttore (dal 1944 al 1945 e dal 1957 al 1961), ma che è nata dal suo grande desiderio di istituire, per la prima volta in Italia, una cattedra dell’affresco, come scrive lui stesso a Bottai: "Ho il dovere di informarvi che lo scopo per il quale io ambivo avere una cattedra a Brera era quello di poter creare una scuola in Milano di affresco, che reputo veramente necessaria. Eccellenza, per me non è questione di stipendio, al quale sono anche disposto a rinunciare pur di poter realizzare questo mio programma". Un insegnamento etico oltre che artistico.