In uno degli storici teatri milanesi è in scena l'opera dirompente della drammaturga inglese Lucy Kirkwood
di Roberto CiarapicaChi salverà questa donna dalla condanna a morte (già pronunciata) per omicidio e, soprattutto, chi salverà il bambino che (forse) porta in grembo? Al teatro Carcano di Milano, mille persone hanno assistito (venerdì 24 gennaio) alla prima italiana de “L’Empireo”, l’opera della drammaturga inglese Lucy Kirkwood, che debuttò al National Theatre di Londra nel 2020, opera diretta da Serena Sinigaglia e prodotta dal Carcano insieme al teatro Nazionale di Genova, allo Stabile di Bolzano al LAC di Lugano e al Bellini di Napoli (teatri in cui andrà in scena nelle prossime settimane).
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Ambientata nell’Inghilterra rurale nel marzo del 1759, in coincidenza con il passaggio della cometa Halley nei cieli britannici, è la storia di una giuria di dodici donne che deve confermare la condanna a morte di un’omicida oppure salvarle la vita. Sally - la protagonista - ha fermato la mano del boia dichiarandosi incinta, così il giudice della contea ha incaricato un gruppo di sue concittadine - guidate da Elisabeth, una levatrice che custodisce un segreto indicibile - di stabilire se la condannata sia davvero in attesa di un figlio.
Scenografia minimal, testo asciutto, un unico atto, un’unica scena, quattordici sedie: una per l’imputata, dodici per le giurate e infine una per Mr Coombs, l’uomo che le ha riunite e che, a loro insaputa, le minaccia quale simbolo eterno della forza brutale del maschio e della Legge, scritta dagli uomini per gli uomini. E così, in questo dramma in cui la grande protagonista è la parola, in questa storia di donne che odiano (sembrano odiare) le donne, in fondo a un avvincente confronto tra falchi e colombe, dopo numerosi colpi di scena, sarà comunque il maschio a infliggere l’ultima pena (mentre la cometa Halley passa tacendo, e perfino l’Empireo - il più alto dei cieli, la casa di Dio - è impotente di fronte alla brutalità dell’uomo).