Dal 14 dicembre 2018 al 10 febbraio 2019, alla Galleria Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis di Palermo
di Lorella Giudici© ufficio-stampa
Vasari lo raccontava nelle sue celeberrime Vite come colui che per primo, in Italia, aveva ricevuto il segreto della pittura a olio direttamente dai fiamminghi e che con quella materia lucida e pastosa aveva fatto risplendere le tavole della sua avviata bottega messinese. Lui era Antonio de Antoni ed era nato a Messina nel 1430, una città che avrebbe poi temporaneamente e brevemente lasciato per andare a studiare i luminosi riflessi dei cieli veneti per coniugarli con le terre e i lapislazzuli della sua terra.
Non era passato nemmeno un secolo dalla morte del pittore e Vasari ne aveva costruito un romanzo e questo perché tra terremoti, smembramenti, fallimenti di famiglie, naufragi, alluvioni, pareti umide, incuria degli uomini, ignoranza, avidità e paure, di Antonello da Messina si sono perse quasi tutte le tracce e con esse importanti documenti. Per lungo tempo la sua vita di uomo e di pittore o è rimasta nell’ombra o si è alimentata di leggende.
Come la storia del Barone di Mandralisca che torna da Lipari con il ritratto su tavola di un ignoto (opera di Antonello), il cui beffardo sorriso sconvolge la mente della figlia del farmacista nella cui bottega era giunto come sportello di un mobile. Ci sono voluti più di cinquecento anni per ricostruire le vicende di uno dei più grandi artisti del Rinascimento italiano e ora quasi la metà delle opere esistenti sono in mostra, dal 14 dicembre 2018 al 10 febbraio 2019, alla Galleria Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis di Palermo.
La mostra non ha dunque la completezza di quella organizzata alle Scuderie del Quirinale nel 2006, ma fra i ritrovamenti che nel tempo sono andati a costituire il corpus dei dipinti di certa attribuzione, in mostra sono visibili una Crocifissione del Museo Nazionale Brukenthal Sibiu della Romania e una meravigliosa tavoltetta devozionale, di 15 centimetri per 10, consumata dai baci del fedele che se la portava al seguito in un astuccio di cuoio, con l’Ecce Homo sul verso e sul recto un San Gerolamo nel deserto, ritrovata da Federico Zeri nel 1981.
Dagli Uffizi è arrivato il trittico con la Madonna con Bambino, il San Giovanni Battista e il San Benedetto che la Regione Lombardia aveva acquistato nel 1995 e che oggi è in deposito nel museo fiorentino. Dalla Pinacoteca Malaspina di Pavia proviene invece il ritratto di giovane gentiluomo (a lungo considerato il suo vero volto) trafugato dal museo nella notte fra il 10 e l’11 maggio 1970 e recuperato sette anni dopo. Ma è solo dalla splendida tavola della Vergine Annunciata (1475-1476), conservata nelle sale del museo palermitano e invidiata dal mondo intero, che può prendere il via la mostra. L’azzurro meraviglioso del velo, che come una moderna architettura inquadra il volto solido e geometrico della Madonna; le sapienti ombre che danno concretezza al corpo e al leggio, unite all’abile scorcio di quella mano che risoluta resta sospesa a mezz’aria valgono un viaggio a Palermo, da qualunque parte del mondo veniate.