L'opera prima di Diego Agostini pone una domanda: cosa succede quando un “buono”sperimenta l’impotenza di fronte a un meccanismo repressivo incomprensibile?
"La fabbrica dei Cattivi" (Giunti Editore, 288 pagine, 12 euro) è il romanzo d'esordio di Diego Agostini, una storia così coinvolgente da lasciare nel cuore di ogni lettore una domanda: “Cosa avrei fatto se fosse accaduto a me?”. Perché quello che succede al protagonista del libro, Alex, potrebbe accadere a ciascuno di noi.
Una sosta in un centro commerciale per comprare una maglietta pulita e asciutta dopo l’ennesimo acquazzone – perché d’estate in Florida piove in continuazione. Intanto la figlia più piccola, Giulia, si è appena addormentata: è scatenata e iperattiva e i suoi sonni così profondi le servono per ricaricare le energie che brucia ed esaurisce da sveglia, così, come suggerisce il pediatra, è meglio lasciare che si svegli da sola.
L’auto è parcheggiata proprio davanti alla vetrina del negozio, è questione di un attimo, non può succedere nulla. E invece di colpo tutto precipita perché, senza saperlo, Alex e Mara hanno contravvenuto a una legge dello Stato. Il detective Strate prende le cose talmente sul serio da alterare prove e testimonianze. Si scatena il finimondo.
Un’assistente sociale porta via i loro due bambini. I genitori, dopo l’arresto, sono condotti alla prigione della contea: rischiano una pesante condanna per abbandono di minore e la conseguente perdita della potestà genitoriale. Cosa succede quando un “buono”, un padre e un marito affettuoso, un professionista responsabile e, soprattutto, un uomo innocente, sperimenta l’impotenza di fronte a un meccanismo repressivo incomprensibile? Accettare di esserne ingranaggio? Oppure reagire e analizzarlo con i propri strumenti?
Così, ora dopo ora, il travolgente racconto di Alex si trasforma nella personale esperienza di come, in una perversione giuridica compiuta in nome della giustizia, la società abbia bisogno di una “fabbrica dei cattivi”.
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