Esposte fino al 23 ottobre, nella sala d'arte del Municipio, trenta opere rappresentative del grande pittore alessandrino
di Lorella GiudiciQuargnento, un piccolo centro della piana alessandrina, celebra uno dei suoi figli più illustri: Carlo Carrà. Nel palazzo comunale del paese, una preziosa mostra, con una trentina di selezionatissimi quadri (tra cui anche un inedito) e numerose fotografie d’epoca, narra le sue origini, i luoghi che lo hanno visto crescere, i rapporti con la sua numerosa famiglia, le tappe fondamentali della sua lunga e intensa ricerca: la scoperta della pittura, la pennellata divisionista, il credo futurista, l’amore per Giotto, il ritorno all’ordine, i paesaggi degli anni di guerra, fino all’ultima natura morta del 1966, ancora sul cavalletto quando quel 13 aprile Carrà se ne va per sempre.
Ad aprire questo intimo ed avvincente racconto sono però due opere che per il loro valore simbolico, prima ancora che artistico,risultano essere fondamentali: un ritratto del padre e un piccolo paesaggio.
La prima, da cui Carrà non ha mai voluto separarsi, mostra il babbo Giuseppe: un modesto ciabattino, di grande rettitudine morale, di grande intelligenza e dalla mente incredibilmente aperta, tanto da incoraggiare quell’ultimo figlio maschio a seguire la propria strada nell’arte. Così, con quattordici anni sulle spalle, ottanta centesimi in tasca e tanta voglia di imparare, Carrà viene affidato dal padre a dei decoratori che stavano lavorando a una villa di Valenza Po,i quali se lo portano prima a Milano e poi a Parigi, a lavorare ai padiglioni di quell’Esposizione Universale che avrebbe inaugurato il nuovo secolo.
La seconda opera è un piccolo acquarello su carta che, oltre a dimostrare il risultato di quell’apprendistato sul campo, testimonia il sentimento che avrebbe sempre tenuto legato Carrà al suo paese. Il soggetto è uno scorcio di Quargnento, La strada di casa, con i suoi edifici bassi e semplici, i rari lampioni spenti e gli alberi ancora spogli. Carrà era appena rientrato da Londra, dove sperava di trovar fortuna dopo le esperienze parigine e va a trovare il padre prima di trasferirsi a Milano. Tutta la superficie ha i toni del nocciola e è percorsa da anelli concentrici come fosse la sezione di un tronco d’albero (era diventato davvero bravo a realizzare il finto marmo e il finto legno per i decoratori di Milano!), ma gli alberi gettano sul terreno delle lunghe ombre e il cuore di quella prospettiva è grigio come se fosse di pietra o di ghiaccio.
Forse un presagio di quell’inevitabile distacco che di lì a poco lo avrebbe portato sulle grandi vie dell’arte: “Fuori dalle case mi volsi a guardare il paese – ricorda Carrà -, che era chiaro nel biancheggiare dell’alba, e un singhiozzo mi fece un groppo alla gola. Sentivo confusamente che lo lasciavo proprio per sempre”.
Nemmeno Quargnento si è mai dimenticato di Carrà, anzi, è il solo ad essersi ricordato che proprio quest’anno ricorrono i cinquant’anni della sua morte e in uno sforzo economico e organizzativo enorme, davvero encomiabile per un paese così piccolo, ha voluto rendergli omaggio nel modo migliore.