La vicenda narrata è legata al misterioso furto e all'altrettanto misterioso ritrovamento, oltre vent'anni dopo, del "Ritratto di signora", opera dell'artista viennese a Piacenza
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“Anna si avvicinò. E si vide, davvero si vide. Era di tre quarti e mostrava il bel vestito dell’atelier Schwestern Flöge: su indicazione di Emilie, aveva abbassato la spalla per mettere in mostra la camicetta che completava l’abito, mentre al collo stava drappeggiata la sciarpa vaporosa e in testa svettava l’ampio cappello. Per far risaltare i due accessori, che erano neri, Klimt le aveva schiarito i capelli, che erano così divenuti color mogano e si presentavano mossi attorno all’ovale del volto. Alla cipria, che mentre posava aveva davvero sulla pelle, si era aggiunto poi un rossore sulle guance tutto inventato, così come più rossa del vero era la bocca. Il neo che faceva capolino da sotto l’occhio la trasformava in una signorina alla moda, mentre le sopracciglia forti le confermavano che era proprio lei. E se ancora non ne fosse stata convinta, a fissarla c’erano quei suoi occhi cilestrini a cui la luce dava una speciale trasparenza.”
Con queste parole Gabriele Dadati descrive il volto della donna che giace sotto lo strato di pittura su cui oggi è invece impresso il “vero” viso di Anna, non la vamp, il volto-immagine dell’atelier viennese della prima versione, ma il dolce profilo di una giovane dai capelli scuri, dalle gote rosate, dalla bocca socchiusa e dai grandi occhi azzurri. Ai gioielli e alle abituali pennellate d’oro, Klimt ha preferito i colori della natura e l’eleganza della semplicità. È passato da quella prima figura dai folti capelli rossi, avvolta in una sofisticata stola colorata, a una versione senza fronzoli, senza seduzione, ma di grande purezza d’animo. Il padre della Secessione viennese aveva dipinto la prima variante nel 1910 e poi vi aveva rimesso mano qualche anno dopo, ma perché: per rimediare a un eccesso di mondanità o per svelare la vera identità della donna?
Pur facendo parte delle collezioni del museo Ricci Oddi di Piacenza fin dal giorno della sua inaugurazione, avvenuta nell’ottobre 1931 alla presenza dei principi di Piemonte Umberto e Maria José di Savoia, il dipinto è divenuto davvero famoso solo nel febbraio del 1997 quando fu misteriosamente rubato. Per più di vent’anni se ne sono perse le tracce e poi, altrettanto misteriosamente, nel dicembre 2019, con un tempismo sorprendente, è riapparso: infilato in un sacco della spazzatura (dell’azienda municipalizzata cittadina, quindi decisamente recente) e nascosto in una nicchia sporca e umida.
Prima di questo libro, una ridda di domande sono rimaste a lungo senza risposta: chi e perché l’aveva rubato? Chi l’ha poi restituito? E, prima ancora, chi è veramente quella donna che ormai tutti in città chiamano amichevolmente "la Gioconda di Piacenza"? E poi, quali erano i suoi legami con Klimt? Era solo una delle sue modelle o c’era dell’altro?
Per rispondere, non resta che leggere il romanzo "La modella di Klimt" (pubblicato da Baldini+Castoldi), e farsi conquistare dalla sua storia coinvolgente che inizia con la mostra che lo stesso Gabriele Dadati stava organizzando a Piacenza per ricordare, a dieci anni dalla sua scomparsa, Stefano Fugazza, l’indimenticato direttore della Galleria Ricci Oddi, la cui indubbia preparazione scientifica e la provata integrità professionale erano state avvelenate dal gesto di quello sconsiderato Arsenio Lupin.
Ma, ad allestimento appena concluso, è avvenuto un fatto clamoroso: a distanza di ventitré anni il quadro è riapparso, quasi a saldare quello spropositato debito contratto con l’ex direttore e con la sua città. Nel raccontarne gli eventi, Dadati ha inanellato fatti veri e aneddoti verosimili in un ventaglio di luoghi, persone e arte davvero avvincente. Ha intrecciato amori, svelato misteri e ricostruito i fatti di una cronaca che inizia a Vienna nel 1910, attraversa tutto il Novecento e arriva fino a noi tra rivelazioni, colpi di scena e elementi inconfutabili.
Di norma non è mia abitudine, e a ben vedere forse nemmeno mia competenza, recensire romanzi, ma non ho potuto tacere su questo perché riporta l’attenzione su un’opera singolare e curiosa nella produzione dell’artista, ma anche su una scrittura di qualità. Inoltre, prima che il Covid imperversasse ancora peggio di prima, il capolavoro, concluse le indagini di rito, avrebbe dovuto essere esposto al pubblico a partire dal 28 novembre nel salone d’onore del Museo, ma anche questo progetto resterà per ora avvolto nel mistero.