La mostra "Morandi 1890 - 1964" fino al 4 febbraio offre 120 opere per celebrare il pittore bolognese e il rapporto elettivo con la città
Giorgio Morandi nel suo studio, fotografato da Herbert List 1953 © © International Center of Photography/Magnum Photos
Giorgio Morandi è stato moderno, esistenzialista, astratto. A Milano apre a Palazzo Reale "Morandi 1890 - 1964" una delle più complete retrospettive sul pittore bolognese realizzate negli ultimi decenni. Che è soprattutto l'opportunità di scoprire l'intero percorso del suo lavoro artistico, tra i temi favoriti (la natura morta, il paesaggio, i fiori, i vasi coperti di polvere) e le diverse tecniche sperimentate, dalla pittura a olio all’incisione, fino agli acquerelli, sintesi di uno scavo cinquantennale nella realtà secondo il celebre postulato morandiano: "ritengo che non vi sia nulla di più surreale, nulla di più astratto del reale". La mostra, aperta fino al 4 febbraio, presenta 120 opere con prestiti anche internazionali ed è pensata anche per celebrare il rapporto elettivo del pittore bolognese con la città di Milano, dove vivevano i suoi primi grandi collezionisti.
Un corpus espositivo di circa 120 opere ripercorre l’intera opera dell’artista bolognese, cinquant’anni di attività, dal 1913 al 1963: una rilettura della carriera di Morandi attraverso una sorta di best off delle sue opere che "mira anche a sfatare alcune leggende come il fatto che Morandi fosse isolato: è vero che conduceva una vita ritirata - come spiega il direttore di Palazzo Reale Domenico Piraina - ma aveva stretti rapporti con il collezionismo e conosceva bene quanto succedeva nel mondo dell'arte". Altro grande tema-mito da sfatare, secondo Piraina, è che l'arte e l'opera di Morandi siano ripetitive. Una convinzione maturata anche dalla predilezione dell'artista per alcuni temi come le nature morte e i paesaggi, ma che per il direttore del museo milanese non ha alcuna ragione d'essere, come dimostra la mostra stessa, dove è possibile rendersi conto delle "evoluzioni della sua pittura dal 1913 al 1950 a livello plastico, compositivo e cromatico". "Morandi è tutt'altro che monotono e ripetitivo" assicura Piraina, pensando ai 120 quadri in mostra grazie a prestiti da istituzioni pubbliche e da collezioni private, a partire da quelli del Museo Morandi | Settore Musei Civici Bologna e delle raccolte milanesi – Pinacoteca di Brera, Museo Novecento, Galleria d’arte Moderna, Casa Museo Boschi di Stefano, Villa Necchi Campiglio-FAI Fondo Ambiente Italiano –, a cui si aggiungono il Mart di Rovereto, la GAM di Torino, Palazzo Pitti, il Museo del Novecento di Firenze, la Pinacoteca Nazionale di Siena, la Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale, la Fondazione Roberto Longhi di Firenze, la Fondazione Magnani-Rocca di Mamiano di Traversetolo, la Fondazione Domus di Verona, la Fondazione Giorgio Cini e la Fondazione Carraro di Venezia. Tra i prestiti internazionali, i Musei Vaticani, il Musée Jenisch di Vevey e le collezioni pubbliche di Winterthur e Siegen, città dove Morandi espose ancora in vita nel 1957 e nel 1962, ricevendo dalla città tedesca il prestigioso Rubenspreis. Tra i prestiti di enti pubblici, la Camera dei Deputati, l’Eni, Telecom e Rai.
Il percorso espositivo segue un criterio cronologico con accostamenti inediti che documentano l’evoluzione stilistica e il modus operandi del pittore, nella variazione dei temi prescelti e delle tecniche. A metà percorso, una installazione video, realizzata in collaborazione con il Museo Morandi del Settore Musei Civici Bologna, ripropone al visitatore la camera-studio di Via Fondazza a Bologna, oggi museo, dove Morandi visse e lavorò fino ai suoi ultimi giorni, accompagnata da frammenti audio di una radio-intervista al pittore di Peppino Mangravite, insegnante alla Columbia University (1955).
Il percorso si suddivide in 34 sezioni che documentano il primo contatto con le avanguardie, tra cézannismo, cubismo e futurismo (1913-1918), il personale accostamento alla metafisica (1918-1919), il ritorno al reale e alla tradizione (1919-1920, le sperimentazioni degli anni ’20 (1921-1929), l’incisione e la conquista della pittura tonale (1928-1929), la maturazione di un linguaggio tra senso costruttivo e tonale e la variazione dei temi negli anni ’30 (1932-1939), negli anni ’40 (1940-1949) e negli anni ’50, in direzione di una progressiva semplificazione (1950-1959), l’acquerello (1956-1963), infine, la tensione tra astrazione e realtà negli anni conclusivi (1960-1963), in cui è toccata l’essenza della realtà, la sostanza di una ricerca durata tutta una vita.
Il suo universo simbolico è costituito da oggetti tra i più comuni, scelti per la loro immutabilità, immunizzati dalla realtà e sospesi della loro funzione, già preparati da una sorta di "prima pittura" con la polvere posata dal tempo o l’aggiunta di velature pittoriche. Ed è pretesto per “far cadere” quel diaframma, per disvelare ciò che della realtà è astratto. Anche i motivi dei suoi paesaggi, o "paesi", come preferiva chiamarli, erano sempre desunti dalla realtà visibile: “Lavoro costantemente dal vero” (Morandi 1929-1930).
La mostra è ideata e curata da Maria Cristina Bandera, promossa da Comune di Milano prodotta da Palazzo Reale, Civita Mostre e Musei e 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, in collaborazione con Settore Musei Civici Bologna | Museo Morandi, e realizzata grazie a Gruppo Unipol, main sponsor, e Bper banca, sponsor di mostra.