Il sogno di un atelier dei tropici: Gauguin alla Fondazione Beyeler
© ufficio-stampa
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Circa cinquanta capolavori provenienti da tutto il mondo a Basilea: opere che l'artista dipinse a Tahiti immortalando i paesaggi e le donne dell'isola
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"Possa venire il giorno (e forse verrà presto) in cui fuggirò nei boschi di qualche isola dell'Oceania, a vivere d'estasi, di calma e di arte, circondato da una nuova famiglia, lontano dalla lotta europea per il denaro", così scrive Gauguin alla moglie Mette qualche mese prima di partire per Tahiti.
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Nelle lontane terre dei canachi, Gauguin sperava di trovare una natura selvaggia e incontaminata, la purezza di uno sguardo che non conoscesse né menzogna né corruzione, la franchezza di un mondo che nella sua primitiva semplicità gli restituisse quell'idea di autenticità che lui immaginava esserci alle radici della cultura. Quella purezza che aveva cercato invano in Normandia (quando aveva dipinto con gialli, verdi e rossi accesi i paesaggi rurali di Pont Aven), che aveva sfiorato per qualche settimana a Panama e in Martinica, che aveva intuito ad Arles, nella turbolenta convivenza con Van Gogh, e che ora sperava di incontrare su quell'isola in mezzo all'oceano, dove fantasticava anche di fondare un suo "Atelier dei tropici".
Il fulcro della mostra allestita alla Fondation Beyeler di Basilea (aperta fino al 28 giugno), che riunisce circa cinquanta capolavori provenienti da tutto il mondo e che ha richiesto quasi sei anni di preparazione, è proprio il nucleo di opere che Gauguin dipinge a Tahiti. Oltre ad alcuni paesaggi, in cui racchiude tutta la rigogliosa natura dell'isola, la maggior parte delle tele ha come soggetto le donne dell'isola, che Gauguin ritrae con il volto assorto, lo sguardo sognante, le labbra sempre chiuse in un silenzio eloquente, malinconico. Delle enigmatiche maori lo affascinavano la plasticità dei corpi, la carnagione vellutata e ambrata, la solidità delle membra, ma soprattutto il loro spirito indecifrabile e sfuggente. Avvolte in parei sgargianti o vestite con gli accollati abiti imposti dai missionari, le belle fanciulle portavano con sé un magico profumo (Noa noa in maori, il nome che darà allo scritto redatto al suo ritorno per spiegare l'esotismo di quella pittura agli altezzosi parigini), mentre nei gesti e nelle posture erano capaci di una nobiltà atavica. Ultime vestali di un mondo ancora (anche se per poco) libero dal vile e corrotto denaro.
Chissà cosa avrebbe detto Gauguin, se avesse saputo che proprio una di quelle tele, Quando ti sposi? (del 1892), sarebbe stata battuta all'asta per l'astronomica cifra di 300 milioni di dollari?