L'esposizione a Palazzo Ducale è curata da Anna Ottani Cavina: prima presentazione a tutto campo, in Italia, dell’opera di un artista che "ha valicato ogni confine in nome di una visione interdisciplinare"
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Cosa sarebbe il mito di Venezia senza John Ruskin, cantore della bellezza eterna della città, tanto più affascinante ed estrema perché colta nella sua decadenza? Personaggio centrale nel panorama artistico internazionale del XIX secolo, scrittore, pittore e critico d’arte, l’inglese John Ruskin (1819-1900) ebbe un legame fortissimo con la città lagunare, alla quale dedicò la sua opera letteraria più nota, "Le pietre di Venezia": uno studio della sua architettura, sondata e descritta nei particolari più minuti, e un inno alla bellezza, all'unicità ma anche alla fragilità di questa città.
Ruskin, ammirato da Tolstoj e da Proust, capace di influenzare fortemente l'estetica del tempo con la sua interpretazione dell'arte e dell'architettura, torna ora a Venezia nei luoghi della sua ispirazione. Torna a Palazzo Ducale fino al 10 giugno, edificio emblematico che egli esplorò a lungo da angolazioni diverse: taccuini, acquarelli, rilievi architettonici, calchi in gesso, albumine, platinotipi.
Ad ospitarlo è la sequenza di sale e loggiati tante volte raffigurati, ove la scenografia di Pier Luigi Pizzi dà risalto alle presenze architettoniche e scultoree della Venezia gotica e bizantina, medievale e anticlassica che egli tanto amava e che desiderava preservare dall'oblio. "[Venezia] giace ancora davanti ai nostri sguardi come era nel periodo finale della decadenza: un fantasma sulle sabbie del mare, così debole, così silenziosa, così spoglia di tutto all'infuori della sua bellezza, che qualche volta quando ammiriamo il languido riflesso nella laguna, ci chiediamo quasi fosse un miraggio quale sia la città, quale l'ombra. Vorrei tentare di tracciare le linee di questa immagine prima che vada perduta per sempre, e di raccogliere, per quanto mi sia possibile, il monito che proviene da ognuna delle onde che battono inesorabili, simili ai rintocchi della campana a morto, contro le pietre di Venezia”.
Voluta da Gabriella Belli quale tributo alla conoscenza e al mito di Venezia, la mostra è curata da Anna Ottani Cavina: prima presentazione a tutto campo, in Italia, dell'opera di un artista che “ha valicato ogni confine in nome di una visione interdisciplinare, praticata quando il termine ancora non c'era".