La recensione

"Il caso Colbert": una spy story internazionale che sembra reale

Lo scrittore Carlo Lefebvre si racconta a Tgcom24: "Troppo facile sapere chi spara, il difficile è capire chi paga la pallottola"

30 Ago 2023 - 17:53
 © Tgcom24

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Affari, intrighi, poteri, morti che morti non sono e vivi che prendono il posto dei morti. Il libro Il caso Colbert intreccia storie e misteri, gioca con il presente per far credere al lettore che il confine tra realtà e finzione possa essere continuamente oltrepassato.

"Come per La Fuggitiva anche in questo libro sono partito da alcuni articoli pubblicati sul Times e sul Washington Post. Si raccontava dei traffici illeciti tra Ucraina e Transnistria, quel fazzoletto di terra autoproclamatosi Repubblica, in territorio moldavo, con uno dei più grandi arsenali di armi dell’ex Urss, comprese anche testate nucleari. Ho subito capito che poteva essere uno spunto per una nuova spy story", così Carlo Lefebvre racconta a Tgcom24 le origini del suo secondo libro, edito Neri Pozza.

Dopo una vita trascorsa tra le cattedre dell’Università La Sapienza ha trasformato i modelli matematici complessi con cui era solito lavorare in labirinti di parole, dove ogni tassello si incastra per creare un noir avvincente. Nei suoi romanzi Lefebvre punta a sviluppare storie e intrecciare vite inserendoli in contesti storico politici esistenti, "mi diverte – ammette l’autore – vado a intercettare quelle vicende che restano avvolte dal mistero. In molti mi chiedono se quanto accaduto in Ucraina è stato lo spunto per questo manoscritto, in realtà l’ho consegnato nell’estate prima dell’invasione russa. Oggi tutti parlano del Gruppo Wagner, ma è dal 2013 che questa milizia opera come braccio armato nascosto di Mosca. Ha una presenza incredibile in Africa e non solo: dal Ciad al Sudan fino alla Siria. Ha aiutato Maduro nella sua crisi presidenziale, ha appoggiato Haftar in Libia. L’elenco dei luoghi dove opera è infinito. Ho pensato che collocarlo in un romanzo fosse avvincente".

Amante di Sciascia e di Eco, ma anche di Houellebecq e Le Carré, Carlo Lefebvre ha scelto una trama narrativa che inizia dalla fine: si scopre fin da subito l’identità dell’assassino, dopo poche pagine si sa anche chi è la vittima, ma il mandante resta oscuro. "Non dobbiamo sapere chi spara, ma chi paga la pallottola", la posizione dell’autore è chiara e dichiarata persino dalla scelta della citazione in apertura di volume: “Ognuno vede quel che tu pari; pochi sentono quel che tu sei, e quelli pochi non ardiscono opporsi alla opinione de' molti", parole di Machiavelli prese a prestito per far capire subito al lettore che nello scorrere delle pagine saranno tante le maschere a cadere.

Di capitolo in capitolo si effettua un viaggio tra Stati terrestri e stati d’animo con i protagonisti che uno dopo l’altro si inseriscono nel racconto, con le loro particolarità, i loro umori, le loro contraddizioni.

"Per me l’elemento fondamentale della complessità di questo libro non è tanto il muoversi nei vari Paesi, il mondo è più piccolo e interconnesso di quanto si pensi. Ma nei luoghi che ho toccato volevo inserire la quotidianità dei miei personaggi. Parigi, Odessa, il ghetto di Venezia e ancora la Bretagna, Londra, le Isole del Canale, la Romania, la Serbia e infine la Transnistria. Fatta eccezione per quest’ultima, che nella sua inaccessibilità ho scelto di descrivere come se fosse avvolta nel mistero, tutti gli altri luoghi sono carichi di dettagli. Sono posti che conosco bene e amavo che il lettore potesse respirare l’aria di quelle terre. Tra inseguimenti e omicidi potesse avere anche una parte di vita normale: le passeggiate lungo la Senna, le cene dagli amici. E poi una storia d’amore che potesse far provare calore. Volevo descrivere gli interpreti di questa storia sedimentandoli nella vita reale: Martine e la galleria d’arte contemporanea, il suo amore gay, i suoi contrasti interni, Gerard con le sue abitudini, il suo amore per i cani randagi, le sue canzoni jazz".

Tra i fil rouge che si diramano nel romanzo di Lefebvre ce n’è uno che accompagna il lettore in tutto il racconto: la musica. "Ho imparato a scrivere ascoltando musica - ci spiega l’autore – per me era fondamentale caratterizzare i personaggi anche in relazione alla musica che ascoltano: il killer, musica elettronica; Martine, generi più vicini alla sua età, senza disdegnare però Tracy Champman e Norah Jones; la vittima Colbert, la musica classica e poi c’è Gerard e il suo amato jazz. Nei libri la musica non si sente, ma è necessaria. E in tante, grandi, opere, è un perno. Tolstoj per esempio la lega alla trama, come in sonata a Kreutzer. Pavese parla di jazz, Proust di Wagner. E poi Murakami, lui inserisce la musica in modo attivo, viene suonata o ascoltata dai personaggi. Da lui ho preso lo spunto per far risuonare delle note anche nel Caso Colbert. Tanto che alla fine del romanzo ho deciso di abbinare a ogni protagonista una playlist a lui dedicata".

Arrivati alla fine del libro ci si chiede se il commissario Gerard tornerà per risolvere altri casi internazionali, la risposta arriva dallo stesso Lefebvre: "Sì, tornerà. Mi ci sono affezionato. E un po’ mi somiglia: fuma il toscano, ama il jazz, indossa le Clark, non ha una grande passione per i vestiti casual, adora cucinare e mangiare, ha un lato umano e una sensibilità che un po’ mi appartiene, il suo punto debole è raccogliere cani randagi per strada e dargli amore. Gerard doveva piacere soprattutto a me, e così è stato. Sto già imbastendo un’altra storia. Spero che tra un possa tornare a indagare".

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