"Typeart Beijing", la mostra di Lorenzo Marini a Pechino
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Fino a febbraio 2025 in un teatro/galleria esposti dipinti su tela e quattro installazioni create per l'occasione: l'obiettivo è confrontare la cultura orientale e occidentale
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L'artista Lorenzo Marini sarà protagonista di una grande mostra antologica a Pechino presso il Dongyuan, un teatro/galleria risalente al 1700 vicino alla Città Proibita, adiacente alla piazza Tienanmen.
È proprio la ricerca sul carattere tipografico libero, portato avanti dal maestro in questo decennio, che piace ai cinesi, un popolo dove da sempre la calligrafia è una forma di arte. Il contatto tra la cultura occidentale e orientale non è nuovo per Lorenzo Marini, che era già stato invitato alla Biennale di Hohhot nel 2017 assieme a Michelangelo Pistoletto.
La mostra ha lo scopo di confrontare la cultura orientale con quella occidentale. E le opere di Lorenzo Marini sono state scelte apposta perché la calligrafia cinese si esprime per ideogrammi che nascono dal figurato, esattamente come la TypeArt. Proprio per questo l’opera EASTWEST rappresenta l’alfabeto occidentale, realizzato con lo stile orientale, creato appositamente per celebrare la ricorrenza dei cinquant’anni del rapporto Italia Cina. L’importanza di questo avvenimento si evince anche dalla durata della mostra: per sei mesi i visitatori troveranno le opere e le installazioni del maestro a Pechino, poiché la mostra terminerà il 25 febbraio 2025.
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La personale racconta una narrazione completa, che comprende sia venti opere su tela sia quattro installazioni create appositamente per questa personale. Lorenzo Marini espone le diverse aree tematiche della sua ricerca, dagli Alphatype ai Bodytype e dagli alfabeti Neo Futuristi ai recenti Black Holes, quattro dei quali sono ancora visibili alla Biennale di Venezia, padiglione Grenada. Tra le installazioni troviamo l’iconica Raintype, che prosegue il suo tour mondiale dopo essere stata esposta a Seul, a Los Angeles e a Miami. Marini ha voluto omaggiare l’armonia dei giardini interni orientali con un dialogo tra la contemplazione e l’azione, inventando un percorso di lettere appoggiate sul pavimento, gesto dinamico che precede obbligatoriamente quello statico della meditazione.
Inoltre un grande cerchio di tre metri di diametro, appoggiato sul pavimento nell’entrata del teatro-galleria, invita a camminare sopra queste lettere che stanno per scomparire nel buco nero di fronte al quale si trova un grande specchio capace di ricordare la caducità della vita nel nostro passaggio, ma anche dell’importanza di vedere noi stessi da un altro punto di vista.
“Questa installazione mi è stata ispirata da una frase zen che dice che l’occhio che tutto vede non riesce a vedere se stesso. Il messaggio è quello di uscire dal nostro piccolo io, che si crede al centro di tutto, e capire che il centro non siamo noi”, commenta Marini.