Inaugurata la 55.ma Mostra Internazionale d'Arte, affiancata dai padiglioni delle oltre ottanta nazioni partecipanti. Nei prossimi mesi la città veneta sarà la capitale dell'arte contemporanea
© Ufficio stampa
Ottantotto padiglioni nazionali, dislocati tra centro storico, isole e Arsenale. La piantina di Venezia è una costellazione di puntini che segnalano altrettante esposizioni ed eventi collaterali, un labirinto di opportunità nel quale il visitatore rischia di perdersi. La Biennale è soprattutto questo, il tentativo di condensare il meglio dell’arte contemporanea mondiale in una città dal volto enigmatico, seducente nella sua decadenza.
Accanto alle aree gestite dai paesi partecipanti, la 55.ma Mostra Internazionale d'Arte curata da Massimiliano Gioni apre alla riflessione sul futuro dell'arte contemporanea, alla continua ricerca di un linguaggio che esprima le utopie e ossessioni di ogni artista. Il fascino della Biennale non lascia indifferente il jet set, al Peggy Guggenheim sono già stati avvistati la principessa Carolina di Monaco e il diamante di Hollywood, Leonardo Di Caprio. Nei prossimi mesi, arriverà il resto del mondo.
Dieci le new entry, dal Bahrein al Kosovo: sarà la prima volta anche per lo Stato del Vaticano, che a Venezia porterà un progetto ispirato ai primi undici capitoli del racconto biblico della Genesi. Lamette e pupazzi di Topolino si specchiano invece nel padiglione serbo, in un gioco di contrasti di indubbio effetto. La Germania porta in laguna un progetto sviluppato da undici artisti, tra cui il dissidente cinese Ai Weiwei: non sorprenda la presenza di un orientale, lo stesso Weiwei spiega che nei meltin’ pot europei non esiste più una vera e propria arte nazionale, lo stesso invece non si può dire per la Cina a causa di un “problema storico, che riflette un periodo di censura e di rigida protezione da parte del Paese”. L’attualità domina nel padiglione giapponese, dedicato alla riflessione sulle conseguenze del sisma datato marzo 2011, mentre dalla Russia arriva una provocazione tanto classica quanto accattivante: il mito di Danae, la fanciulla sedotta da Zeus sotto forma di pioggia d’oro, rivive in un’esposizione incentrata sul legame tra lussuria e potere corruttivo del denaro. Di forte impatto anche la proposta del team iracheno, che in un palazzo veneziano affacciato sul Canal Grande ha ricostruito l’interno di una tipica casa di Baghdad, dove la cultura mediorientale va assaporata in tutte le sue forme. Non manca la vena polemica, evidente nell’installazione ideata dal Cile: dalle scure acque di una vasca emerge a intervalli regolari la rappresentazione delle Biennale, un modo artistico per criticare una formula ritenuta obsoleta in un contesto ormai globalizzato.
Una voce fuori dal coro cui ha prontamente risposto il presidente dell’esposizione, Paolo Baratta, secondo cui il costante aumento del numero dei padiglioni è al contrario segno di una diffusa volontà di partecipazione al dialogo, non certo di chiusura in una ristretta ottica locale. Un confronto cui hanno voluto dare il proprio apporto anche i 150 artisti impegnati nella Mostra Internazionale. Molti i nomi semi sconosciuti selezionati da Gioni, che al prestigio della firma ha anteposto la scelta di "opere che raccontano storie”. Chi è l'artista, che differenza c'è tra professionista e dilettante? Sono solo alcuni dei quesiti su cui la Biennale si sofferma, pur senza pretendere di dare risposte definitive. L’obiettivo è un altro, non meno ambizioso: avvicinare la gente all'arte contemporanea in un mondo che, affollato da mille immagini, “rischia di perdere l’orientamento - dice Baratta - e insieme ad esso il desiderio di arte”, il desiderio di incantarsi davanti a quella scintilla che distingue una “creazione artistica rispetto all'immagine di consumo che ci passa davanti tutti i giorni”.