© Ufficio stampa | Umberto Boccioni, Campagna romana o Meriggio, 1903, olio su tela.
© Ufficio stampa | Umberto Boccioni, Campagna romana o Meriggio, 1903, olio su tela.
Quasi duecento opere, tra cui spiccano alcuni capolavori assoluti dell'artista, raccontano fino al 10 dicembre gli anni giovanili e della formazione
di Lorella Giudici© Ufficio stampa | Umberto Boccioni, Campagna romana o Meriggio, 1903, olio su tela.
© Ufficio stampa | Umberto Boccioni, Campagna romana o Meriggio, 1903, olio su tela.
"Tutto il passato, meravigliosamente grande, mi opprime io voglio del nuovo! […] Con che cosa fare questo? col colore? o col disegno? con la pittura? con tendenze veriste che non mi soddisfano più, con tendenze simboliste che mi piacciono in pochi e che non ho mai tentato? con un idealismo che mi attrae e che non so concretare?". A tutte queste domande, che il 14 marzo del 1907 Umberto Boccioni annotava in una pagina del suo diario, l’artista non aveva ancora una risposta. Stava muovendo i primi passi nel mondo dell’arte: l’anno prima era stato a Parigi, di lì a qualche mese sarebbe partito per la Russia, aveva raccolto consigli e suggestioni, aveva conosciuto artisti e visitato mostre a Roma, Padova, Venezia e Milano, ma ancora non sapeva come fare. Una cosa gli era però già chiara: trovare la strada per esprimere il nuovo, per parlare la lingua del proprio tempo, anzi del futuro. È questa convinzione che lo porterà ad essere uno dei padri del Futurismo ed è in quel ruolo che solitamente si pensa a Boccioni. Eppure, gli anni della sua formazione sono stati altrettanto cruciali. La mostra aperta in questi giorni alla Fondazione Magnani-Rocca (Mamiano di Traversetolo, Parma, fino al 10 dicembre 2023), non solo risponde a tutte quelle domande, ma ricostruisce e ripercorre, attraverso quasi duecento opere, con nuovi elementi e in rapporto alle coeve ricerche, i diversi momenti della sua attività giovanile, dalla primissima esperienza a Roma (1899) sino agli esiti pittorici immediatamente precedenti il Manifesto dei pittori futuristi del 1910. Dieci anni segnati da incontri importanti, da sperimentazioni tecniche e stilistiche alla ricerca di un linguaggio originale, pronto non solo ad accogliere gli stimoli delle nascenti avanguardie, ma a diventarne il protagonista.
Il percorso espositivo è suddiviso in tre sezioni, scandite dalla toponimia delle città italiane in cui l’artista ha vissuto: Roma, Venezia e Milano, curate rispettivamente da Francesco Parisi, Virginia Baradel e Niccolò D’Agati. In ciascuna sezione è previsto l’accostamento con opere degli artisti che ha incontrato e che lo hanno in qualche modo guidato o sostenuto: da Giovanni Segantini a Giacomo Balla, da Gino Severini a Gaetano Previati, da Mario Sironi a Carlo Carrà.
La prima tappa è Roma, dove Giacomo Balla lo ha introdotto alla nuova tecnica divisionista “senza tuttavia insegnarcene le regole fondamentali e scientifiche”, come ricorda nelle memorie il compagno Gino Severini. Una delle opere più rappresentative della stagione romana è il Ritratto della signora Virginia (1905), dove il taglio fotografico e la luce chiaroscurale testimoniano l’adesione ai precetti del divisionismo di Balla. Il periodo romano non ha segnato solo il progressivo avvicinamento dell’artista alla pittura, ma anche all’illustrazione commerciale, la réclame, una perfetta e “straordinaria espressione moderna”.
La seconda tappa è contrassegnata dai soggiorni padovani, il luogo degli affetti (la città in cui fino al 1907 vivevano la madre Cecilia e la sorella Amelia), e veneziani, quello del 1907, che coincide con la Biennale, e quello del 1910. Questa parte veneta permette di comprendere le inclinazioni e le predilezioni estetiche di Boccioni, la sua distanza dal verismo e dal sentimentalismo e la sua vicinanza a un’arte che abbia “un’impronta nobilissima di aspirazione a una bellezza ideale”, come lui stesso scrisse commentando la Sala dell’arte del Sogno alla Biennale. Spiccano opere come il Chiostro (1904), con i giochi di luce e ombre tra le arcate, e il Ritratto del dottor Tian (1907) dove, scrive Virginia Baradel, “impiega con larghezza e nuova verve tratti divisionisti, concedendosi il virtuosismo di alternare nei revers della giacca piccole pennellate a frusta da un lato, a punto dall’altro. Il gilet bianco e l’ampia fronte del medico sono le partiture luminose che aggettano la figura nello spazio del riguardante”. Completa questa parte espositiva il focus dedicato all’avvicinamento dell’artista al mondo dell’incisione, sotto la guida di Alessandro Zezzos. Vengono infatti esposte alcune opere grafiche e, per la prima volta, le lastre metalliche incise da Boccioni, recentemente ritrovate.
Il terzo momento fondamentale della sua formazione è l'arrivo a Milano, città in cui Boccioni si confronta con gli artisti maggiormente influenti d’inizio secolo, in particolare con i maestri storici del divisionismo locale, da Longoni a Sottocornola e Morbelli, da Segantini a Previati. Città che in quegli anni era in pieno fermento urbanistico e che l’artista mostra alle sue spalle nell’Autoritratto con cappello del 1908, con il veloce scorrere delle nuvole e i caseggiati in costruzione, pronti a diventare parte vitale dell’iconografia futurista. Da ammirare sono anche Il romanzo della cucitrice (1908) e Nudo di spalle (1909), nel quale la schiena e la testa incanutita della madre sono il palcoscenico su cui le luminose pennellate, memori della lezione di Segantini e di Previati, si animano nei contrasti cromatici e nel fluire dei segni.
Boccioni. Prima del Futurismo
Fondazione Magnani-Rocca, Mamiano di Traversetolo – Parma
9 settembre – 10 dicembre 2023
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